Recensione: Gospel of Annihilation
Cosa succede se in un frullatore black metal vengono messi musicisti già addentro al Metallo Nero provenienti da tre stati che in linea teorica hanno poco a che spartire fra di loro?
Succede che esce un disco con tre quarti d’ora di violenza sonora color pece senza compromessi suddivisa in dieci pezzi, avviluppata da una confezione a tema foriera di tutti i cliché luciferini del genere che non si fa mancare proprio nulla: teschi, fuoco, sangue, tibie, croci, corna al vento oltre, ovviamente, a un nome che di certo non riporta ad un nuovo gruppo di voci riunitesi per cantare cori alpini: Breathing Hell.
Dietro a questo moniker si annidano personaggi dal passato e dal presente glorioso, a partire dal ”nostro” Giulio Borroni detto “Ghiulz”, ascia dei Bulldozer e degli Ancient, nonché membro di Faust e Profanatum in tempi meno recenti. All’altra ascia, direttamente dalla Polonia, Triumphator degli Infernal War, ex-Arkona, ex-Thunderbolt. Alla voce e al basso, sulla scia di AC Wild e Cronos, l’indonesiano S.H. (Draconis Infernum, Hellucinate, Scalded Infamy). A chiudere il poker nero, sempre dalla terra del Papa Wojtyla, il bombardiere Daray, già martellatore per Dimmu Borgir, Vesania, Hunter, Masachist ed ex dei Vader.
I quattro figuri si autodefiniscono portatori sani di “Demonic Speed Metal”, un mix letale di Black, Death e Thrash. “Gospel of Annihilation”, griffato Act of Sin Records (Polonia) è il titolo dell’album che ricomprende 44 minuti e 23 secondi di ferocia iconoclasta, con poche variazioni al tema.
Il viaggio lungo i dieci gironi dell’inferno dai nomi altisonanti: “Omnicide”, “Ascension of the Malignant Spirits”, “Hellraising Degenerates”, “Herald of Pestilence” prende il via con l’intro “The Initiation” e si conclude con la title track. A fare la parte del leone la componente Thrashblack dei nostri, in netta predominanza su quella legata al Death Metal. Nove bordate nove che non dimenticano la vecchia scuola estrema, figlie dell’esperienza, della tecnica e di mille battaglie sui palchi di tutto il mondo. La classe cristallina dei musicisti coinvolti nel progetto è lì da vedere, anzi da sentire e le radici, seppur nere come il carbone, non si possono cancellare con un colpo di spugna. Lo spettro degli Slayer “classici” legati alla tradizione ortodossa del Metallo, quindi quelli dei primi album, aleggia su tutto il disco, fornendo la dose di zolfo necessaria per poter essere apprezzato appieno dagli amanti del genere, senza avere però la minima pretesa né i numeri per cambiare le sorti della storia del rock.
“Gospel of Annihilation” è un digipak che si accompagna a un libretto di otto pagine con tutti i testi e due foto della band in bianco e nero, colte all’interno di un cimitero.
Stefano “Steven Rich” Ricetti