Recensione: Gothica
Affermare che i Ten «propongano piu o meno sempre la stessa (pur buona) minestra, dosando in maniera sapiente i medesimi ingredienti» è indubbiamente realistico ma non rende davvero giustizia ad una discografia di alto livello come quella della band britannica, in effetti capace nel corso degli anni di inserire tutta una serie di influenze – epiche, celtiche, fantascientifiche – all’interno di una proposta dai tratti inconfondibili. In questo senso, qualora ce ne fosse ancora bisogno a distanza di oltre un ventennio dall’uscita dal debutto autointitolato, “Gothica” con le sue implementazioni sonore – a dirla tutta più barocche che gotiche – rappresenta la miglior controprova.
La voce suadente di Gary Hughes veleggia con la consueta classe sugli avvolgenti toni bassi che da sempre ne caratterizzano il timbro ritrovando, nel contempo, la magia di certi splendidi affreschi sonori caratteristici della prima parte della carriera dei Ten: testimonianza ne siano brani come l’epica opener “The Grail”, la favolosa “Travellers” con le sue atmosfere sognanti e la vellutata ballad “Paragon”, tre high-light di gran lusso giá da soli praticamente valevoli del proverbiale “prezzo del biglietto”.
Tuttavia, a stupire in positivo sono le fiammeggianti chitarre: Vinny Burns non è più della partita da un pezzo, ma sembra che – finalmente – il buon Gary con Dann Rosingana e Steve Grocott abbia trovato due sostituti all’altezza, in grado di apportare personalità e idee ad una ricetta sì collaudata ma come si diceva (quasi) mai realmente statica. Le ritmiche martellanti (e nemmeno troppo vagamente moderniste) di “Man For All Seasons” si amalgamano in effetti benissimo con un ritornello barocco di gran pregio e con un paio di assoli fiume da tramandare ai posteri e pure brani inusuali – nell’economia del classico Ten-sound – come “Jekyll And Hyde” (di nuovo sfacciatamente modernista), “Welcome To The Freak Show”, la battagliera “The Wild King Of Winter” e la particolare “La Luna Dra-cu-la” funzionano alla grande, ribadendo con forza come Gary Hughes e i suoi Ten non si siano mai adagiati sugli allori.
In tutto questo Ben di Dio forse la sola “In My Dreams” rimane qualche passo indietro, in virtù di un ritornello un po’ fiacco ma si tratta di un peccato davvero veniale a fronte di una tracklist nel complesso ben calibrata e ricca di spunti, culminante nella regale semi-ballad “Into Darkness”, ennesimo saggio delle grandi capacità della band britannica.
Un (altro) bell’album, al tirare delle somme, in grado di fare la felicità tanto dei die-hard fan della creatura di Gary Hughes quanto degli appassionati di melodic hard rock che ancora non vi si siano approcciati.
Stefano Burini