Recensione: Graceful Inheritance [Reissue]
Ci sono band, nella storia dell’Acciaio, che hanno creato intorno a loro un alone di rispetto spesso sfociante nel culto nonostante non abbiano pubblicato discografie sterminate né calcato chissà quali palchi. Una fenomenologia che costituisce una fra le tante magie e misteri che l’heavy metal ci ha saputo regalare. Gente come Warlord, Sword, Heavy Load, solo per enumerarne tre, ma anche gli Heir Apparent oggetto della recensione possono appartenere a questa cerchia ristretta.
L’occasione per tornare sul combo di Seattle la fornisce la label olandese Hammerheart Records che da qualche settimana ha licenziato sul mercato il loro debutto del 1986 intitolato Graceful Inheritance sia in vinile che in Cd slipcase in modalità remaster, che effettivamente restituisce una bella e nitida “botta” alla casse, che è poi quello che conta in codesta tipologia di operazioni. La versione su dischetto ottico, oggetto della recensione, si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi e delle foto della band nelle due centrali.
La cronaca riporta, a oggi, per gli americaner, tre album in carriera con tre cantanti diversi. Il primo, Paul Davidson, presente su Graceful Inheritance, va a collocarsi di diritto fra le ugole più sottovalutate dello scibile HM. Basti ascoltarsi “Keeper Of The Reign”, l’highlight dell’album, per lo scriba, all’interno della quale il frontman si supera, andando a toccare corde da pelle d’oca, perfettamente in linea col suo concittadino Geoff Tate, per intenderci. Un altro che non si trovava al primo angolo della strada. Di quegli Heir Apparent attualmente è rimasto il solo chitarrista Terry Gorle (qui la sua intervista), unico vero portabandiera della band statunitense. Il resto della formazione ha subito continui cambiamenti, situazione da mettere peraltro in preventivo nel momento in cui non esiste una vera linea di continuità, né in studio né dal vivo. Destino comune a moltissimi altri gruppi, del resto. Poco male, nel momento in cui riesci a piazzare un colpo da maestro quale Graceful Inheritance, disco di altro lignaggio sebbene divisivo, sin dai tempi della sua prima pubblicazione. Già, perché la forza, ma anche il limite, per molti, di questo album risiede nella presunta mancata linearità del songwriting. Punti di vista, come sempre. Le certezze, viceversa, permangono ancora oggi Terry Gorle & Co., autentici pionieri, insieme con pochi altri (Fates Warning, Queensrÿche, Crimson Glory), di un certo heavy metal di classe di stampo USA.
Come talvolta può essere interessante fare, qui di seguito la recensione di Graceful Inheritance così come uscita in tempo reale nel 1986 sulle colonne della rivista Rockerilla numero 66 del febbraio 1986 a firma Tiziano Bergonzi.
Dalle profondità di vecchie cronache, sale in superficie il potere maestoso dell’erede; il custode del Regno annuncia l’arrivo del nuovo Discendente.
Così si presentano a noi gli Heir Apparent, gruppo di recente formazione proveniente da Seattle, formatosi nel 1984 dopo che i quattro componenti hanno militato in diverse altre band della zona nord-ovest degli Stati Uniti. Come loro stessi proclamano, gli Heir Apparent considerano l’heavy metal, non nel senso musicale, ma nel senso del modus vivendi, come sinonimo di eccessi alcolici, di amplessi con ragazze facili e corse pazze con le automobili, cioè non come gioco o divertimento, ma come rivalutazione dell’individuo attraverso le responsabilità innegabili di ognuno di noi per la gestione della nostra vita nel miglior modo possibile. Il destino della terra è nelle mani degli uomini e i nostri, nei loro testi, non parlano di droga o di occultismo, ma vogliono cercare la chiave del destino. Tematiche nuove, se inquadrate nell’ambito del metallo pesante, molto interessanti: un gruppo appena arrivato, ma già con le carte in regola per sfondare, dato che le argomentazioni, la creatività e la preparazione tecnica di questi quattro ragazzi sono senza dubbio rimarchevoli. Momenti di estremo interesse si susseguono ininterrottamente lungo l’arco dell’album; la chitarra di Terry Alan Gorle è l’impalcatura che sorregge l’intelaiatura del suono, mentre la voce Paul Davidson è indice di potenza abbinata al feeling emotivo e passionale.
Dopo un inizio carriera che è un po’ quello di tante altre band, cioè incisioni di demo, supporto a nomi grossi di passaggio nella loro zona, partecipazione a compilation (nel caso Pacific Metal Project con “Tear Down The Walls”, presente anche sull’ellepì), eccoli accedere al primo disco, che risulta essere un gran bel debutto; la loro musica sa interessare, sa avvincere l’ascoltatore, in una varietà di passaggi sonori che non diventano mai stucchevoli per ripetitività. Etichettarli o inquadrarli in un filone musicale ben determinato non è facile, e forse neanche possibile, e questo depone sicuramente a loro favore, essendo indice di chiara fantasia compositiva, si potrebbe al limite parlare di un class power metal, poiché alla forza d’urto si unisce una tecnica raffinata di sensibile buon gusto. Al contrario di quello che faccio spesso, non voglio segnalare alcun brano, ma voglio porre in risalto tutta l’opera nella sua completezza. Il disco va centellinato, considerato e analizzato nella sua globalità. Ci troviamo senz’altro di fronte alla prima rivelazione di questo 1986.
Dall’inizio del nostro ciclo universale presente, attraverso le ere del nostro sviluppo, l’uomo si è evoluto fino a confrontarsi con il suo più mortale nemico: se stesso. Chi continuerà se l’uomo dovesse essere sconfitto? Chi sarà il discendente dell’uomo?
Ascoltate gli Heir Apparent, forse potrete trovare le risposte che cercate.
Stefano “Steven Rich” Ricetti