Recensione: Grand
Pare che in Svezia gli anni Ottanta non siano mai finiti, tante sono le band scandinave che si rifanno a quel periodo, ricalcando stilemi che furono dell’AOR, del Melodic Rock e dell’Hard Rock proprio della East Coast statunitense. Da ultimi arrivano da Stoccolma questi Grand, progetto a lungo cullato dal vocalist Mattias Olofsson, cui la nostrana Frontiers ha voluto dare credito pubblicandone il primo, omonimo album.
I modelli sono quelli: Starship, Foreigner, Survivor, un inevitabile pizzico di Journey e, se proprio vogliamo restare in area nordica, Treat e Stage Dolls. Niente di nuovo sotto il sole, dunque: ma i Grand non deludono il rocker amante del genere, grazie soprattutto a belle melodie e a un songwriting generalmente fresco, ben supportato da arrangiamenti semplici, ma adatti alla proposta della band. Chitarre mediamente distorte ben si amalgamano a tastierone più pop che pomp, certo presenti ma mai invadenti, mentre la voce acuta di Olofsson pare nata per cantare AOR: insomma, pur nella (inevitabile) canonicità, tutto funziona e passare da un pezzo all’altro di Grand è un “gran” divertimento, soprattutto in virtù di una certa variabilità nella tracklist.
Se, infatti, Caroline è un morbido mid-tempo che richiama davvero da vicino gli Stage Dolls, Stone Cold mostra l’anima più pop e tastierosa dei Grand (con venature di Giuffria), mentre Make It Grand suona finalmente rock, con un bel groove dinamico.
La valida The Price We Pay gioca intorno al canovaccio della pseudo-ballad melanconica da colonna sonora hollywoodiana degli anni Ottanta; e lo fa benissimo, regalando un bel ritornello, che è un piacere ascoltare e riascoltare.
Fanno capolino i Great White in Johnny On The Spot, tirata hard song che non può non piacerci, mentre Brian Adams sfiora la leggera (e ben scritta) Those Were The Days.
Once In A Blue Moon è una variazione sul solito mid-tempo AOR, questa volta non esattamente riuscita. Un po’ meglio, senza gridare al miracolo, la successiva Too Late, che avrebbe tranquillamente potuto supportare qualche fotogramma di Flashdance.
La plasticosa After We’ve Said Goodbye (ascoltate i tom tom campionati e vi troverete nel 1985) non aggiunge molto a Grand. Ma per fortuna Ready When You Are ci ricorda che abbiamo a che fare con una band vera, che sa anche schiacciare sul pedale dell’acceleratore e qui lo fa benissimo, richiamando i Mr Big e arricchendoli con uno spirito festaiolo da Sunset Strip che a noi piace sempre; anche se l’assolo sarebbe dovuto essere di chitarra e non di tastiere.
E infine, eccola! Eccola la ballad: non poteva mancare. Titolo inflazionatissimo (Anything For You), arrangiamento prevedibile, ritornello che più canonico non si può: insomma, niente di che. Ma, diciamolo, il cuore del rocker si commuove sempre un po’, più per nostalgia che per malinconia.
Alla fine, i Grand si ascoltano volentieri, perché sono proprio quello che vogliono essere: una macchina del tempo quasi perfetta, che ci trasborda senza troppi scossoni negli anni Ottanta. E se proprio dobbiamo viaggiare per sfuggire al traballante presente, conviene andare in un gran bel posto: in tal senso, i Grand sono i nocchieri ideali. Affidatevi con serenità a loro.