Recensione: Gravitas
Nel 1982 “Asia”, il debut album del supergruppo edificato da John Wetton, Steve Howe, Carl Palmer e Geoff Downes, musicisti che avevano giganteggiato, nel decennio precedente, all’interno del primigenio movimento progressive (solo Geoff Downes, pur avendo militato anche negli Yes di Drama, proveniva dal pop elettronico dei Buggles), si piazzò d’un colpo al primo posto delle charts americane. Il tentativo di asciugare e mettere al servizio di canzoni commerciali e confinanti con l’AOR il prog-rock, dunque, risultò immediatamente vincente, e artisti dei quali il punk e la new wave avevano già cantato il de profundis, si ritrovarono nuovamente proiettati nello stardom musicale dell’epoca.
I quattro moschettieri che formavano gli Asia, però, non furono in grado di gestire tale successo e, dopo altri due album validissimi ma dal successo immeritatamente calante, Alpha e Astra (quest’ultimo con Mandy Meyer al posto di Steve Howe alla sei-corde), la band andò in pezzi.
Il monicker Asia continuò a circolare per qualche lustro, con una line-up cangiante ma incardinata intorno alle tastiere di Downes ed alla voce ed al basso del bravo John Payne, ed artefice di lavori discografici tutt’altro che trascurabili.
Nel 2008, però, la voglia di tornare alla formazione originale prevalse e, messo alla porta John Payne (che continua ad operare con il nome di Asia featuring John Payne), Downes torna a coagularsi con gli altri componenti originali degli Asia, ritrovando un’accoglienza favorevole ed offrendo lavori di qualità crescente e sempre più a fuoco, da Phoenix ad Omega fino al recente, bellissimo XXX.
Nel 2013, però, ecco arrivare un colpo di scena: Steve Howe, impegnato anche sul fronte degli Yes, decide di lasciare amichevolmente i suoi compari, e, dunque, nella storia degli Asia si affaccia il giovane Sam Coulson. Sam ha iniziato ad esprimersi nel mondo della musica postando i propri video su Youtube, facendosi così notare da virtuosi come Paul Gilbert e bluesman come Walter Trout. Quando gli Asia si rivolgono ad alcuni grandi nomi della chitarra per sostituire Howe, molti fanno loro proprio il nome di Coulson.
Giunge ora, per la nuova line-up, il momento di esordire in studio (dal vivo il quartetto new style ha già avuto modo di essere testato), con un nuovo lavoro, dal titolo “Gravitas”, come al solito licenziato da Frontiers Records.
Rassicurato dallo stile inconfondibile della consueta, magnifica copertina del grande Roger Dean, l’ascoltatore trova subito motivo di ulteriore conforto nell’opener Valkyrie, evocativa, epica, improntata sulla magnifica voce di Wetton e sulle tastiere. Queste ultime appaiono da subito aver conquistato un nuovo vantaggio nell’economia sonora del gruppo, benché la chitarra si affacci qui per la prima volta con un assolo lucente e funzionale. Ancora i tasti d’avorio si levano in posizione dominante in Gravitas, prog-rock dall’introduzione atmosferica di tastiere che poi diventa un midtempo sempre signoreggiato da Geoff Downes; anche qui l’ascia, a parte alcuni riff qua e là, è esiliata nel finale. The Closer I Get To You, successivamente, si mostra quale ballata elegante, con tastiere e voce sugli scudi. Dopo questo inizio convincente, il livello compositivo e la tensione del full-length si abbassano con i due brani successivi: si tratta di Nyctophobia, un pop-rock molto british di esasperante ripetitività che ha almeno il pregio di interrompere (ma non troppo) le atmosfere incantate fin qui prevalenti, e di Russian Dolls, in cui si mette in evidenza una sei-corde acustica che contrassegna un brano soffuso e nostalgico.
Le quotazioni di Gravitas si rialzano bruscamente con Heaven Help Me Now: solenne classicheggiante, sinfonica ed orchestrale all’inizio, con tocchi acustici, la canzone prende una piega finalmente rock tra riff e assoli di Coulson rimandando così ai fasti del primo album. I Would Die For You, invece, è un altro brano solenne e melodioso ma più tonico rispetto ad altri, e ci riporta a indimenticate songs di Alpha quali Never in a Million Years.
Ci si avvia al finale con Joe Di Maggio’s Glove: ancora una volta ci troviamo al cospetto di suoni delicati che riecheggiano quei climi nostalgici che sembrano rappresentare il mood prevalente degli Asia degli anni zero-zero, e si chiude poi degnamente con Till We Meet Again, epica, marziale e punteggiata di originali suggestioni folk.
Gravitas appare, in definitiva, per gli Asia, come un dorato lavoro di transizione in cui il ruolo di Geoff Downes, che pure è come sempre impeccabile, misurato e mai fuori luogo, comporta una prevalenza di atmosfere malinconiche ed epiche, che viziano a tratti il lavoro di un’uniformità un po’ alla Icon (il progetto di Wetton e Downes), e non consentono ancora una perfetta messa a fuoco del ruolo del nuovo axeman.
Ma sia chiaro che siamo comunque di fronte ad un platter che esibisce esecuzioni impeccabili ed incommensurabilmente raffinate, nonché melodie che già si sono incardinate nelle orecchie, nel cuore e tra i neuroni del vostro recensore, con la ferma intenzione di non muoversi da lì per un bel po’.
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