Recensione: Gravitas Maximus
Le radici dei Pyrexia affondano nelle pieghe del tempo antecedentemente al 1990, anno ufficiale della loro nascita. Il fondatore Chris Basile (prima basso e poi chitarra), nel 1987 si era infatti unito ai Mortuary, ensemble formato per il resto da membri dei Suffocation. Ma, dato l’alto rischio di similitudini troppo accentuate fra questi due act, lo stesso Basile ha lasciato perdere il tutto per formare una band nuova di zecca con altri componenti. I Pyrexia, appunto.
“Gravitas Maximus” è il sesto album in carriera dei Nostri, probabilmente il punto di arrivo per quanto concerne il concetto di brutal all’interno del death metal. Questa sensazione trova riscontro, anzitutto, nella perfetta riproposizione di tutti i dettami, nessuno escluso, che caratterizzano in maniera univoca questo particolare sottogenere musicale. Lo stile dell’LP, difatti, si manifesta attraverso un disegno sanguinolento i cui contorni sono tratteggiati con decisione e sicurezza, quasi si fosse esaurita la parte propedeutica al raggiungimento di un obiettivo.
Obiettivo che, a parere di chi scrive, è ipotizzabile nel volersi scrollare di dosso tutto ciò che riguarda il death metal classico, leggasi anche ortodosso, per dar luogo a qualcosa in linea con i tempi. E questo qualcosa è senz’altro il brutal death metal, poiché le sue peculiarità coincidono perfettamente con i dettami più sopra citati.
Si può allora affermare che il disco sia da tenere a mente si vuole ascoltare qualcosa che ha in sé un valore enciclopedico, quasi fosse un paradigma per chi volesse seguire le orme del combo statunitense. Il che non deve stupire più di tanto, visto che, escluso Basile, gli altri musicisti sono entrati a far parte del combo stesso nella seconda decade del terzo millennio. Aria fresca e ricca di ossigeno, quindi, ad alimentare le meningi del ridetto Basile, tese a evitare che si potessero atrofizzare se fissate su troppe rimembranze dei lustri passati.
Tutto ciò è sicuramente encomiabile e, anzi, rappresenta un punto di forza del progetto-Pyrexia.
Ma le note dolenti non tardano ad arrivare, non appena iniziato l’ascolto dell’opener-track ‘We Are Many’, il cui incipit scade nel solito cozzo di voci più o meno sataniche del solito rituale esorcistico. Cui segue il solito (e tre) malloppo di musica super-compressa, tracciata nel suo percorso da un mostruoso lavoro delle chitarre, le quali partoriscono tonnellate di riff dall’andamento lineare ma complesso. Nel senso che la quantità di accordi eiettati è semplicemente spaventosa ma guidata da un drumming feroce perennemente assestato, più o meno, sulla foga dei blast-beats. Il che facilita, e non poco, il lavoro dei due axe-man. Il tutto, condito dall’inhale di Jim Beach, i cui versi suinidi sono totalmente inintelligibili. Un brutal irreprensibile, insomma. Come ce ne sono a centinaia e centinaia sparsi per il Mondo, però, per una riconoscibilità del quintetto di New York sostanzialmente pari a zero.
Anche le canzoni sono assai scolastiche nel loro essere troppo simili le une alle altre. Un difetto che, sommato a quello di una foggia musicale senza difetti ma tanto comune, lasciano poco o niente nella memoria. Come dire: «i Pyrexia? Uno dei tanti».
Il che conduce a consigliare “Gravitas Maximus” solo e soltanto ai super appassionati del brutal death metal. Di quello buono, senz’altro, ma scontato. Troppo.
Daniele “dani66” D’Adamo