Recensione: Great Is Our Sin
Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri.
Arthur Schopenhauer
Il grande filosofo tedesco lo sapeva da molto tempo, molto prima che il concetto di metal venisse portato all’interno del mondo, che per creare qualcosa di innovati devi per forza andare contro le leggi della comune umana. Certamente i nostri cari Revocation non sono coloro che cambieranno il senso della storia e rivoluzioneranno la rotazione terrestre, ma di certo hanno una sana dose di follia che li ha portati ad oggi a diventare prorogasti della scena globale sena sè e senza ma. Sono da considerarsi ancora una band underground a tutti gli effetti sia chiaro, ma il loro indiscutibile talento ha fatto sì che che dei sei album pubblicati, compreso l’odierno “Great Is Our Sin”, non ve ne sia nessuno definibile quale malriuscito. Di death metal nuovo ne abbiamo a quantità massicce ogni giorno, di album usa e getta pure, ma questo ha qualcosa che merita la sua attenzione nel bene o nel male perché i Revocation non suonano come tutti gli altri; hanno capito dove bilanciare progressione e brutalità, ferocia e melodia, pura tecnica e atmosfera, tutte combinazione che normalmente vanno in disaccordo col death metal made in US classicista, tutto questo combinato per registrare volta dopo volta album dallo stile unico. Siamo onesti ragazzi, bastano cinque secondi per riconoscere lo stile compositivo di Mr. David Davidson agli amanti del genere. A due anni di distanza dal precedente, ottimo, “Deathless” i nostri baldi giovani tornano sulla scena con questo concept album, il primo della loro carriera, per andare oltre i confini precedente delineati dalle uscite passate,effettuare il blzo definitivo verso il futuro della loro carriera. Un solo cambio in line-up con l’ingresso in pianta stabile dell’ex battterista dei 3 Inches of Blood, Ash Paerson, non ha modificato la spinta e stile dei nostri, tutto è rimasto li al proprio posto. “Great Is Our Sin” prende a piene mani dalla strada intrapresa con l’EP “Teratogenesis” amalgamando il tutto in quello che ad oggi è un death sporcato con sane e importanti dosi di puro prog metal estremo; dimentichiamoci quindi i primordiali primi tre album e apriamo la nostra mente perché da oggi siamo entrati ufficialmente nel mondo del death progressive, prendere o lasciare.
Cosa accade dunque ai Revocation dopo due anni di pausa dal precedente “Deathless”, portatore di molteplici consensi a destra e manca? Tutto e nulla potremmo fondamentalmente dire, non una rivoluzione ma una progressione giusta e doverosa nei confronti di un sound, personale finalmente, che senza chiedere permessi va avanti sulla sua strada senza incappare in cadute di stile. La prima diversificazione sul piano sonoro che salta all’orecchio è l’aumento in maniera sostanziosa delle clean vocals, delle melodie all’interno delle singole tracce e di una cospicua dose di armonizzazioni che tendono a soffocare l’aspetto più brutale in favore di una maggiore apertura “heavy” à la NWOBHM. Certamente il tocco death thrash che li ha sempre contraddistinti non è svanito nel vuoto etereo, lungi dal proclamarlo, solamente la maturazione inevitabile di Davidson & Co sta assumendo sfumature che odorano di “intelligente”. Prendiamo tre esempi lampanti quali la seconda “Theater of Horror”, “Profanum Vulgus” e la penultima “Only the Spineless Survive”, che sono senza ombra di dubbio ottime tracce e non hanno nulla di sbagliato, portando al loro interno quella citata massicia dose di aperture e tempi più morbidi, favorendo atmosfere ed energie non solamente brutali come in passato accadeva metodicamente. Questo non è un difetto, ma un pregevole appunto che fa comprendere al meglio quanto questa progressione, agli albori solo sfiorata, sia netta e senza rimpianti, bravi. Certamente le sparate a mille all’ora e l’impossibilità di non headbangare arrivano grazie a “Crumbling Imperium” con il suo riff portante da air-guitar impazzita, “Communion” e “Copernican Heresy” risplendendo al meglio e non lasciano prigionieri, un tir in faccia fa meno male forse. Sono brani veloci catchy e con una silenziosa e chirurgica teatralità tecnica che non sfigura in una ipotetica classifica dei top class globali. La strumentale “The Exaltation” con l’apparizione di Marty Friedman è da applausi perché serve ed è necessaria alla riuscita del tutto, quale grande spartiacque tra ciò che abbiamo appena ascoltato e il restante che ci aspetta, calza a pennello. Esiste poi una terza tipologia di brano all’interno di “Great Is Our Sin” che evade dal contesto melodico e da quello brutale, prendendoli in parte entrambi ma andando oltre, ben più di quanto ci si poteva attendere dai Revocation; ovvero “creare epicità”. Chi avrebbe mai pensato ascoltando “Existence is Futile” o l’album “Omonimo” di questa repentina crescita? Provare per credere attraverso “Monolithic Ignorance” e la conclusiva “Cleaving Giants of Ice”, due canzoni geniali nel loro piccolo grazie alla splendida contaminazione di clean e growl, di soli magistrali e brutalità sprigionata dalle pelli, quanta bellezza in così poco spazio che non merita di essere aggravata da molto altre parole inutili.
“Il concept ruota intorno la follia dell’uomo nel corso dei secoli. Alcuni temi provengono da riferimenti storici che sono vecchi centinaia di anni, ma purtroppo per noi questi temi sono ancora molto attuali a causa del rifiuto dell’uomo di imparare dalle lezioni che storia ci ha impartito, di volta in volta”
Con queste parole David Davidson ci introduce al “Great Is Our Sin” attraverso la spiegazione del concept album, mai parole furono più azzeccate nella loro carriera; riescono come pochi altri a descrivere la follia del death metal moderno progressivo destrutturando i clichè ed andando a contaminare testi e musiche in un grande bollitore pronto ad esplodere. Il sesto album della carriera dei nostri non è di facile digestione, richiede una dose massiccia di ascolti per essere apprezzato e valutato sotto l’aspetto più generico che sui brani singoli come per ogni concept che si rispetti. Una netta progressione rispetto al passato che non fa altro che spianare la strada ai Revocation per quella che pare essere una grande carriera; un gruppo di amici, di ragazzi giovani e volenterosi che il loro sporco lavoro lo sanno fare molto bene. Applausi.
Il peccato è stato inventato dagli uomini per meritare la pena di vivere, per non essere castigati senza perchè.
Gesualdo Bufalino