Recensione: Greed

Di Alberto Biffi - 2 Maggio 2010 - 0:00
Greed
Band: Silent Call
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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80

Tornano i Silent Call, band svedese che con il debut album “Creations From A Chosen Path” ci aveva piacevolmente sorpresi.

Definiti da solerti e fantasiosi “colleghi” d’oltremanica “bombastic melodic metal with a vein of the progressive”, i nostri ci propongono effettivamente un heavy metal potente ed alquanto melodico, con arrangiamenti curati ed esecuzioni tecniche che non sfociano mai, per fortuna, nell’autocompiacimento strumentale. La componente prog è in realtà limitata, pur essendo una pesante ed indiscutibile influenza musicale che colora con piacevoli digressioni i pezzi degli svedesi, rendendo l’ascolto mai scontato nonostante i brani siano sempre cachty e distinguibili grazie a refrain azzeccati e ficcanti.

L’opener è a dir poco disorientante. Dopo una breve intro melodica, non si fatica a pensare ad uno scherzo: la voce e arma vincente della band, Andi Kravljaca, è davvero simile per timbro ed estensione a Michele Luppi, tanto che il brano sembra partorito da un super gruppo che annovera nei propri ranghi il singer dei Killing Touch e Tore Otsby (dei mai dimenticati Conception ed Ark) alla chitarra.
Proprio i nostrani Vision Divine e il gruppo norvegese capitanato un tempo da Roy Khan (ora semplicemente Khan ed in forza ai Kamelot) sembrano spesso il riferimento per i Silent Call, che con le prime 3 tracce ci sorprendono con melodie inaspettatamente dirette e memorizzabili.
E’ con il quarto brano “All That Might Be” che viene in luce il lato smaccatamente progressive, grazie ai duri riff di Daniel Ekholm che si stagliano sui suoni di Patrik Tornblom ed ai vocalizzi inarrivabili del singer.
Le tastiere in questo lavoro dei bravi metallers svedesi sono state asciugate dall’approccio ben più  pomposo e ridondante presente sul debutto. Più “snelle” e funzionali, colorano le composizioni ora con suoni analogici, ora con altri più moderni e “space oriented”.

La cosa impressionante ed invidiabile di questo combo, nonché assoluta lezione per le altre band, è come nessun membro (eccezion fatta solo per il già citato cantante) copra con funambolismi tecnici fini a stessi, i compagni o ancor peggio il brano. I Silent Call lavorano come una incredibile “cooperativa musicale”, con il fine comune ed ultimo di mettersi tutti al servizio della canzone.
Nessun batterista malato di protagonismo (chi ha detto Mike Portnoy?), nessun guitar hero noioso, un cantante che si prodiga nell’interpretare ogni canzone usando tutto l’ampio range vocale che madre natura gli ha generosamente regalato, scendendo anche dalle vette dell’high pitch consapevole di non aver nulla da dimostrare.

Come già sottolineato l’axe man del gruppo, Daniel Ekholm, non si distingue per un solismo logorroico ed invadente, bensì per un gusto musicale da applausi (bello il wha wha in “Falling From Grace”).
“Dream Tomorrow”, “When The Angels Call Your Name”, sono episodi composti con una sensibilità straordinaria, ma potrei dire la stessa cosa per tutte le tracce di questo ottimo lavoro, estremamente omogeneo per qualità ed impatto.

Concludendo, possiamo asserire di essere ben lieti di aver (ri)trovato una band in forma strepitosa, che si lascia ascoltare piacevolmente sia dalle orecchie (deliziate da un senso melodico rimarchevole) che dalla testa (una musica strutturata che ci regala nuove scoperte ad ogni ascolto).

Un gradito ritorno ed una grande conferma. Da avere.

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Line Up:

Andi Kravljaca – Voce
Daniel Ekholm – Chitarra
Patrik Törnblom – Tastiere
Tobbe Moen – Basso
Micke Kvist – Batteria

Tracklist:

01.    Every Day
02.    I Am My Nation
03.    Through The Endless Night
04.    All That Might Be
05.    Dream Tomorrow
06.    Turn The Tide
07.    Unbreakable
08.    Falling From Grace
09.    When The Angels Call Your Name
10.    The Wages Of Greed
11.    Clavain’s Tale
 

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