Recensione: Grengus

Di Vittorio Sabelli - 12 Luglio 2012 - 0:00
Grengus
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Anno: 2012
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83

L’unico errore che si può fare avendo tra le mani “Grengus” è quello di provare a trovargli una catalogazione, sia musicale che storica. Perché gli spagnoli sono lontani anni luce dalla loro Bilbao, e mettono in gioco stili e idee provenienti da ambiti musicali diversi, fondendo il tutto in un piacevole ed enigmatico disco.
Certamente i punti fermi del trio possono ricondursi a Bolt Thrower, Autopsy e ai primi Soundgarden, ma ogni idea è tenuta in piedi da un tiro gretto – ma al tempo stesso micidiale – che fa senz’altro dell’esasperata ugola del leader Gálvez il proprio punto di forza. Le urla degne del rinoceronte trovano man forte nell’assemblaggio strumentale, e nonostante il combo sia relativamente recente – si è formato nel 2006 ed ha all’attivo una demo e quattro full-length – , dimostra una maturità degna di grandi nomi e una vena compositiva ispirata e personale.
Forse ‘personale’ è l’unico aggettivo che può ‘catalogare’ Horn Of The Rhino, perché il sound risultante è talmente avvolgente e ricco che è difficile staccarsene e non esserne inondati. Non aspettatevi tecnicismi e sezioni hyper-speed, non rientrano nel discorso impostato dai Nostri, ma se siete alla ricerca di un suono marcio con gettiti di adrenalina e una pesantezza che onora il nome stesso, avete trovato ciò che fa per voi.

“Under The Hoof” e “Pile Of Severed Heads” vi danno il buongiorno con un risveglio degli albori del death metal – quello graffiante degli Autopsy per capirci – , che più che alla forma guarda alla sostanza. E lo fa in maniera aggressiva e senza indugi, prendendo le distanze da tutto ciò che è ‘pulito’ e matematico: l’unico pensiero è quello di andare dritto al cuore – con un songwriting per niente sofisticato -, e senza nessun compromesso. La title-track è intrisa di grunge, ma non quello ‘commerciale’, bensì di quello paranoico e monodico dei primi Melvins, che si incontra con le atmosfere melodiche e allo stesso tempo acide dei Soundgarden, il tutto iniettato da una prima parte in cui Gálvez riporta alla luce “Ride The Lightning”, cadenzata ‘slowly’ ma con una sua distinta e accattivante personalità.
“Drowned In Gold” prosegue la direzione imposta dalla band, e innesca la terrificante “Waste For Ghouls”, che va a mille, con cambi di tempo dettati da Gil, che omaggia il suo mentore Chris Reifert in un drumming d’altri tempi che non dispiace affatto, a cospetto della maggior parte dei batteristi ultra-virtuosi che sono una delle caratteristiche del death metal moderno (o forse da sempre…). “Awaken Horror Of Tuul” smentisce in parte gli iberici, soprattutto dal punto di vista compositivo, che sfocia in poliritmie, tempi dispari e cambi assassini, per spianare la strada a “Brought Back”, una sorta di ‘concept-song’, i cui undici minuti vanno dall’intro acido di Black Sabbath fino alle sonorità tipiche degli Alice In Chains, con un progressivo crescendo, ancora una volta incentrato sulla ripetizione delle sezioni, che non può penetrare lentamente e dolcemente la corteccia cerebrale con la voce acidula ma non urlata che narra storie di altri tempi – e di altri spazi. “To Ride The Leviathan” chiude “Grengus”, ancora una volta con lo spirito guerriero che permette al leader di poter urlare a squarciagola la sua rabbia, che è la molecola base dei baschi.

Un ultimo pensiero va a Salvador Dalì e alla ‘sua’ visione del rinoceronte, restituendogli la sua identità guerriera – il nome Rambo casualmente ci si riflette – sotto forma surreale, e un accostamento del nome della band con l’eclettico artista di Figueras credo sia necessario. Provate a mettervi davanti l’opera sul ‘rhino’ di Dalì e allo stesso tempo ascoltare “Grengus”… c’è di che ‘viaggiare’ nei Paesi Baschi.

Vittorio “VS” Sabelli

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Tracce:
1. Under The Hoof 5:08
2. Pile Of Severed Heads 5:22
3. Grengus 5:36
4. Drowned In Gold 5:13
5. Waste For Ghouls 3:22
6. Awaken Horror Of Tuul 4:00
7. Brought Back 11:20
8. To Ride The Leviathan 5:30

Durata 45 min.

Formazione:
Javier Gálvez – Voce/Chitarra
Sergio “Rambo” Robles – Basso
Julen Gil – Batteria
 

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