Recensione: Grotesque Creation
C’ero una volta io che, spinto da irrefrenabile passione e voglia di cimentarmi in cose sempre nuove, un giorno mi misi in testa l’idea di collaborare, più o meno attivamente a seconda delle mie necessità temporali, allo spazio recensioni di Truemetal.it. Un bel giorno, tale io scelse di recensire il disco di un progetto musicale di cui nel suo giro aveva sempre sentito parlare male, nella speranza di trovare in esso qualcosa di salvabile e riscattarlo agli occhi di ascoltatori e addetti ai lavori. Tale speranza svanì nel giro di pochi, vaghi e vani minuti di ascolto e il mio io lo stroncò senza pietà. Fine.
La favoletta potrebbe concludersi qua, ma per dovere di recensore dovrei anche far capire di cosa diavolo io stia parlando. Partendo dal principio, avevo sempre sentito parlar male di questo progetto e pertanto trovarmelo tra i dischi da recensire per i mesi futuri aveva messo in me una certa curiosità, quasi una sorta di riscatto nei confronti di questo Zombie Fetido, ma le mie aspettative di rivalsa sono valse ben poco non appena dinanzi alle mie orecchie si è parata senza metafore la tristezza dell’evidenza.
“Grotesque Creation” è l’ultimo lavoro anagraficamente parlando di tale Fetid Zombie, one-man band (ecco la motivazione del mio parlare al singolare, quindi termini come ‘ensemble’ e derivati sarebbero fuori luogo) di un certo Mark Riddick, piccola leggenda dell’arte visiva death metal statunitense che ha fatto del design in bianco e nero sua punta di pregio. Ma, sebbene Mark sia bravissimo come pochi altri nell’arte visiva del metallo macabro, secondo me non è altrettanto bravo nella parte puramente musicale: nelle intenzioni tale progetto dovrebbe fondere, almeno a seconda della scheda biografica rilasciata dall’etichetta, la maestria del black metal greco, heavy metal classico e death/thrash atmosferico in un’unica proposta musicale. Ma fallisce miseramente al cospetto di una produzione scadente, di pezzi ridicolmente differenti tra loro e di una piattezza generale che farebbe annoiare a morte anche il più intrepido degli ascoltatori.
Il progetto ha anche una ricca discografia alle spalle nonostante pochi anni di attività e lo stesso Mark non è del tutto estraneo a collaborazioni musicali vere e proprie ma se il risultato è dato da lavori scadenti come questo, beh, scusatemi ma non ho alcuna voglia di approfondire ulteriormente le sue doti musicali passate e preferisco concentrarmi su quelle visive. Tale “Grotesque Creation” è una creazione che di grottesco ha unicamente la musica contenuta al suo interno e non intendo certo in senso positivo…
Parliamoci chiaro, abbiamo a che fare con un dischetto senza pretese infarcito di una produzione che, mascherandosi come grezza e poco rifinita, si rivela semplicemente brutta: chitarre inoffensive sia a livello di resa che di riff (che non colpiscono mai), basso spesso troppo alto nel mix, parti di tastiere che sembrano inserite a caso, batteria decente ma poco fantasiosa (il session-man di rito ci mette poco o nulla di suo) e soprattutto una voce che, oltre a essere mal ficcata nel contesto (a tratti sembra di ascoltare i primi dischi dei Cannibal Corpse, e quando il nostro si pregia dell’uso di effetti come riverberi ed echi è ancora peggio) è anche missata sempre a un livello troppo alto rispetto alle parti strumentali dei pezzi, nonostante una performance non certo brillante del nostro Zombie Fetido aka Mister Riddick…
I dischi però, si giudicano soprattutto sulla base delle idee in essi contenute e cose come la produzione possono passare anche in secondo piano se tali idee risultano vincenti, ma nulla. Anche sul punto di vista del songwriting per me il CD fa acqua da tutte le parti, con pezzi troppo lunghi e male arrangiati, un eccessivo distacco tra i pezzi più death/doom e quelli più ‘heavy-oriented’ e melodici tanto che sembra di avere a che fare con due band distinte, senza contare i pezzi dove tali componenti del sound vengono alternate tra loro, con risultati imbarazzanti. Basta pensare alla diversità che intercorre tra l’opener “Entombed Existence” (mediocre pezzo a tinte death/doom) e la successiva “Into The Unknown” (che spiazza subito l’ascoltatore con momenti che sembrano uscire dalla mente dei Dark Tranquillity meno ispirati e più banali) per far dubitare chiunque dell’effettiva qualità di questo lavoro e anche gli special-guest chiamati alla causa non possono, logicamente, far nulla per cambiare le cose.
L’unica cosa che si salva è l’artwork, realizzato dallo stesso Riddick, ma un libro non lo puoi salvare solo perché ha una bella copertina: devi avere la faccia tosta di dire «è un bel libro, compratelo!» a chi sta là fuori, devi convincere le masse di una sostanza che non c’è, andando oltre al triste fatto che in quel libro, oltre alla copertina, non c’è il libro vero e proprio.
Ecco, io credo che questo disco sia come un brutto libro che potrebbe attrarre qualche incauto lettore proprio per via della bella copertina ma, il mio consiglio, è come sempre quello di rimanere sempre all’erta. Essere prudenti e optare per ‘libri’ dove, oltre a una spiccata presentazione esterna, vi sia anche un certo contenuto di qualità al suo interno. Purtroppo non è il caso di questo disco, e il risultato è una sonora bocciatura. E non crediate che mi faccia piacere.
Giuseppe “Maelstrom” Casafina