Recensione: Grounded – Chapter Eight
“We are Heavy Metal, if you don’t like it… Fuck You!”
Queste sono le parole con cui i tedeschi Metalium esordiscono con il loro ottavo capitolo, Grounded. E’ chiara sin dai primi secondi l’intenzione di far capire all’ascoltatore a cosa sta per andare incontro. Un disco di pregiato heavy (power) metal che ha impresso il tipico stile che la band ha sviluppato in ogni lavoro pubblicato finora: riff possenti di chitarra, una batteria precisa come un orologio svizzero e la magnifica voce di Henning Basse che spazia da acuti fuori dal normale a intermezzi con vocalità ruvide e sporche al limite del growl. E se non piace, beh, il messaggio è più che chiaro.
L’evoluzione stilistica della band si distanzia parecchio dal sound forsennato e velocissimo degli esordi: come nell’album precedente, Incubus, vengono predilette tracce più lente e ritmate, i tipici mid-tempo, anche se non mancano incursioni dal sapore prettamente “Metalium”, con ritmiche al fulmicotone.
Heavy Metal è la canzone che ci introduce al viaggio in questo nuovo disco: un brano di impatto che dalle prime note attira la curiosità dell’ascoltatore grazie al groove dei riff macinati dalle chitarre e dall’aggressività della voce del cantante. Deliziosi sono gli armonici di chitarra presentati nella seconda traccia Light of Day, mid-tempo impreziosito dalla tecnica sopraffina dei due chitarristi Matthias Lange e Tolo Grimalt, mentre riporta alla memoria lo stile dei Grave Digger la successiva Pay The Fee. Si giunge alla traccia Pharao’s Slavery, brano incentrato sulla schiavitù di epoca egizia, che inizia con le sadiche risate di un ipotetico padrone che frusta i suoi schiavi ai lavori forzati: inizia quindi una lunga canzone dai tempi lenti e marziali, in cui Basse interpreta con patos la parte del prigioniero che sogna la libertà dalle catene. Scorre anonima la successiva Crossroad Overload, e si arriva a Falling Into Darkness che apre con una cavalcata di puro power metal per poi rallentare e riesplodere in un ritornello in cui la voce raggiunge tonalità stellari. Are We Alone e la ballad Borrowed Time ci preparano ad assaporare la sfuriata dall’ottima Once Loyal vero e proprio piatto forte dell’album: potenza e carisma per questo brano che si lascia ascoltare più volte senza mai stufare. La chiusura viene affidata a Lonely, pezzo diretto e senza fronzoli che ancora una volta risalta l’abilità tecnica di tutti i musicisti della band.
Come ogni anno i Metalium hanno svolto il loro compito e hanno prodotto un buon disco, suonato e cantato con uno stile impeccabile come da tradizione. Nulla di innovativo ovviamente, ma si sente che i ragazzi di Amburgo mettono il cuore in ogni pezzo che scrivono. In buona sostanza possono piacere o possono risultare a volte ripetitivi, questo è il loro modo di sentire la musica e “if you don’t like it… Fuck You!”.
Stefano “Elrond” Vianello
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Line-up:
Henning Basse – Vocal
Matthias Lange – Guitar
Tolo Grimalt – Guitar
Lars Ratz – Bass
Michael Ehre – Drum
Tracklist:
1. Heavy Metal * MySpace *
2. Light of Day * MySpace *
3. Pay The Fee
4. Pharao’s Slavery
5. Crossroad Overload * MySpace *
6. Falling Into Darkness
7. Are We Alone
8. Borrowed Time
9. Once Loyal
10. Lonely