Recensione: Hädanfärd

Di Alessandro Rinaldi - 3 Luglio 2021 - 14:52
Hädanfärd
Etichetta: Noble Demon Records
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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90

Il secondo album è sempre quello più difficile, soprattutto quando si è chiamati a confermare un debutto del livello di Impius Viam: si può finire schiacciati dal peso delle critiche degli amanti del genere che, parliamoci chiaramente, sono piuttosto esigenti in fatto di musica.

Il quartetto di Göteborg mette in bella mostra una line up di tutto rispetto: il carismatico Ken Romlin alla voce, Johan Eskilsson (Chiper System) alla chitarra, Janne Jaloma (Dark Funeral) alla batteria e alle tastiere e al basso Henric Lilijesnd (ex NIghtrage). Gli ingredienti per ben figurare ci sono tutti, quindi.

L’artwork è meraviglioso, una sorta di versione black metal della “Maddalena Penitente” di Canova che si erge al centro della scena; sullo sfondo un paesaggio consono alle atmosfere cupe scandinave, con montagne e nubi. L’opera, concettualmente, è stata ispirata da un racconto di Romlin, che approfondisce accordi e incontri con la Morte: epicità, malinconia, oscurità ed una certa attitudine all’eccellenza nel songwriting sono i principali ingredienti di questo album. La struttura delle canzoni prevede una costante alternanza tra parti propriamente black, dove i Night Crowned ci danno giù pesante, e ponti melodici, che in un certo senso hanno la funzione di contenere la violenza del loro suono, che renderebbe impossibile l’ascolto per lungo tempo: la grande capacità dei ragazzi svedesi sta nel creare una pluralità di suoni e fraseggi che rendono unica qualsiasi canzone, sebbene il suddetto schema sia ripetuto. La prestazione di Romlin è carismatica e di alto livello, riesce ad elevare il lavoro magistrale eseguito dalla band in fase di struttura musicale: suoni puliti, e ben amalgamati, con riff orecchiabili, ed una batteria su cui Jaloma riversa la sua rabbia. Fondamentali risultano essere le armoniche sviluppate da Eskilsson: semplici fraseggi o riff sono l’embrione di quello che poi diventerà questo brillante full lenght.

Nattkrönt è stata concepita con un obiettivo: aprire Hädanfärd. Le tastiere iniziali, fanno pensare ad un intro ma, dopo pochi secondi, veniamo immediatamente travolti dalla forza della musica dei Night Crowned. Rex Tenebrae è caratterizzata da ritmi incalzanti, forsennati, meno orecchiabile ed immediata di Nattkrönt. “Sono il tuo inizio, sono la tua fine/Lo sono sempre stato e sempre lo sarò/Ti do pace, ti do dolore eterno/Ti incateno nella miseria della vita” – è un passo di Fjättrad, il brano che è stato scelto per promuovere il disco, con un bellissimo video. Oscura e immediata, è il degno manifesto dell’intero album, che ha le sue radici nell’abilità di Eskilsson nei riff, attorno alla quale si sviluppa, in modo elegante, tutta la canzone. Un fraseggio in perfetto stile heavy metal anni ‘80 apre Ett Gravfäst Öde, che si evolve in un brano dalla rabbiosa malinconia. La titletrack è un meraviglioso brano acustico, d’atmosfera e notevole impatto, che ci introduce nella seconda parte del disco. Gudars Skymning ha un attacco di notevole impatto, è particolarmente brillante e riesce a sviluppare, grazie all’egregio lavoro di Eskilsson, un’epicità oscura, tipicamente svedese. Människans Förfall ha un incipit diverso, la sezione ritmica assume un ruolo principale e va detto che è un bel sentire: l’oscura nenia di Romlin è ipnotica e getta l’ascoltatore in un Maelstrom di dannazione. L’intro di Grått & Ödelagt è decadente, sembra quasi che sia stata composta da un Demone all’Inferno: trasuda malinconia su pareti di rabbia. Il disco si chiude in crescendo con Enslingen, violenta e brutale, come se volesse invogliare l’ascoltatore a iniziare ancora una volta il viaggio nel Mondo Nero dei Night Crowned.

Siamo di fronte ad un grande album, probabilmente il migliore che abbiamo ascoltato in questo 2021; un’opera che non fa altro che confermare quanto di buono lasciato intravedere con Impius Viam: a solo un anno di distanza, i nostri non si sono limitati a darci conferma del loro talento ma hanno fatto un ulteriore passo in avanti a livello compositivo, mostrandoci una perfetta sincrasi tra quella che potremmo definire “l’eredità degli anni ‘90”e il moderno. In effetti, troppo spesso cerchiamo di vivere nel passato, ricordando quei capolavori che non ci saranno più, perché quel mondo, non esiste più: la musica, in modo particolare il metal, è influenzata dal contesto storico in cui viviamo; cambiarlo, vuol dire cambiare il sistema di valori e di conseguenza il punto di vista, quindi la musica. Le star dell’epoca erano simili a delle divinità, anche perché avvolte da un fitto mistero: di loro sapevamo solo quello che leggevamo sui giornali. Nell’era dei social, ogni segreto è svelato, soddisfacendo di fatto la nostra curiosità ma privandoci di quella magia che ruota attorno ai nostri gruppi preferiti, pompando il fenomeno promozionale controbilanciato però dall’assuefazione che danneggia le band. Questi ragazzi hanno il merito di non ancorare l’ascoltatore al passato, ma di creare una sorta di ponte temporale tra gli anni ’90 e la modernità, mostrandoci una nuova strada da seguire.

Morte su pentagramma.

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