Recensione: Hagakure II
Quasi tre anni dopo “Myths of the Islands” i taiwanesi Bloody Tyrant ci propongono il nuovo EP “Hagakure II“, seguito della storia di “Hagakure” (2018) . Durante questo lasso di tempo avvenne un consistente cambio di formazione che, nel 2021 ha ridefinito le carte in tavola. Ma andiamo con ordine.
“Hagakure II” contesto generale
Lasciate alle spalle le sonorità solari di “Myths of the Islands”, il nuovo “Hagakure II” segna un forte “ritorno alle origini” più estreme. In questo senso ci si riferisce a sonorità tipiche di opere come “The Overture of Sun Moon Lake” (2012) e “Solitary Eagle”. In questo disco il folk black/death melodico è attraversato però da un inedito respiro alternative, a tratti Thirty second to Mars. Tale sensazione è esaltata dal cantato pulito di Kin, cantante femminile in grado di sfoggiare linee vocali pulite, androgine -affini a Jared Leto– e tonalità più abrasive alla Dani Filth.
Non manca il pipa, strumento tradizionale presente dal 2012 e vero marchio di fabbrica dei Nostri, inoltre sporadicamente appaiono altri strumenti folk e non.
La recensione
L’EP si compone di quattro tracce e si tratta di una mossa intelligente perché tre di esse sono veramente di alto livello in termini di scrittura. Scegliere una voce principale femminile -anziché maschile- come quella di Kin è stata una gran bella mossa in quanto genuina e lontana da sirene che puntano a sedurre l’ascoltatore a tutti i costi . Colpisce poi il cuore virtuoso, a volte quasi neoclassico ma mai ridondante delle chitarre, intrecciato nel violento ma complesso tessuto sonoro. Di grande impatto pure la batteria. Il pipa è invece in grado di esaltare un sapore epico oppure di assecondare un’inquietudine raggelante.
In questo senso “Abe Ichi Zoku”è il pezzo più minaccioso e disperato del disco, in cui emerge più di tutti una sezione ritmica devastante. Non si deve dimenticare comunque una forte componente melodica, a volte quasi doom. Ci sono poi pezzi dotati di una vena poetica ed epica più marcata come “Semi Shigure” e “Kenshi Subete Heyru”. Tra i due spicca la bellezza del primo, brano più equilibrato e particolare. In ogni caso, senza indugio questi tre pezzi rappresentano non solo il meglio di “Hagakure II” ma figurano anche tra i migliori della discografia dei Bloody Tyrant stessi.
Infine, il rimanente “Sakai Jiken” seppur carino risulta palesemente l’anello debole in termini di scrittura, meno convincente per una tendenza un po’ monocorde.
Conclusione
Con “Hagakure II” i Bloody Tyrant si rialzano decisamente dal punto di vista qualitativo, abbinando associazioni ardite con il metal estremo. L’ingresso di una voce femminile androgina, diversa da molti gruppi- specie symphonic – può indirizzare ancora di più i taiwanesi verso la giusta strada. In termini di capacità tecniche esse sono più che ottime, inoltre è decisamente consona pure la produzione. Tale opera ritaglia ai Nostri un posto sempre più marcato nel mondo folk metal asiatico e non solo. Si spera che essi tornino in Italia ancora, possibilmente in un locale che stavolta valorizzi adeguatamente la loro ricercata proposta musicale. Un gruppo adatto per chi apprezza i ChthoniC più folk, agli amanti del folk metal e, potenzialmente anche ai fan del metal estremo (Cradle of Filth su tutti).
Elisa “SoulMysteries” Tonini