Recensione: Hail Death
Formatisi nel 2007, i Black Anvil occupano una posizione rilevante nell’odierna scena black metal Americana. L’aspetto più peculiare di tale gruppo è, indubbiamente, la loro continua e sorprendente evoluzione stilistico-sonora. Il loro esordio è, infatti, “Time Insults the Mind” del 2008 che, pur presentandosi come un’acerba miscela di black e thrash, è ancora fortemente influenzato dall’Hardcore proprio degli Agnostic Front e dei Black Flag. Non a caso i Black Anvil sono nati dalle ceneri dei Kill your Idols, una band hardcore punk di New Jork.
Soltanto due anni dopo avrà luogo una rilevante svolta tecnico-stilistica con “Triumvirate”, un album che mostra ancora un mix thrash/black, ma con sfumature hardcore molto più leggere rispetto ai primi Black Anvil.
In questo “Hail Death”, del 2014, si avverte invece una definitiva e drastica rottura rispetto a stili e tecniche proprie dei precedenti dischi, riscontrabile già al primissimo ascolto.
Tale album, infatti, nel complesso presenta una potente miscela thrash/black nell’intera tracklist, dalla prima “Still Reborn” alla decima “Under the Rose” (cover dei Kiss). La traccia che, però, riflette maggiormente tale contrasto sonoro veloce e violento, ma contemporaneamente coinvolgente, è “Eventide” caratterizzata da assoli in pieno stile heavy anni ottanta.
Diverse sono, invece, “Until the End” e “N”. La prima, infatti, è caratterizzata da un andamento meno dinamico e più lento, ma comunque molto melodico. La seconda da fredde, oscure e maligne sonorità più cadenzate in grado, assieme a echi tipici di Darkthrone e Mayhem, di evocare morbose visioni proprie dei Celtic Frost.
In scaletta si distinguono ancora “Still Reborn” e “G.n.o.n.” per la presenza di ritmi accelerati
e serrati di chitarra e batteria, nonché di riff di chitarra violenti e convulsi ,vicini al sound di Sodom e Kreator.
Del tutto peculiari “Redemption Through Blood” e, soprattutto, “Next Level Black” che presentano accattivanti melodie che riecheggiano una leggerissima influenza heavy dei Mercyful Fate e dei Black Sabbath.
Particolarmente specifica è poi “Seven Stars Unseen” in cui evidente è l’abilità della band nel giocare con i tempi che ricordano “Muster of Puppets” dei Metallica e “Destroyer” dei Kiss. Non mancano, infatti, i martellanti e precisi blast beat che ben rifiniscono i singoli dieci pezzi con break e cauti controtempi di elevatissima qualità.
In conclusione “Hail Death” riflette la decisiva scelta dei Black Anvil di abbandonare completamente l’impianto caotico tipico dell’Hardcore, donando piuttosto continua varietà ai singoli brani. Effetto sorprendente ottenuto grazie all’assenza di esplosioni in stile “raw” e alla totale fusione di contrastanti sonorità thrash Slayeriano-black tipico di Dissection e Behemoth.
Sul piano vocale, invece, l’album è caratterizzato da acuti tritaossa e tonalità che rimandano al tetro e deprimente panorama atmosferico dei Venom. “Hail Death”, quindi, tralasciando qualche lieve spruzzo death proprio dei Possessed, si rivela un’assidua e rapida oscillazione fra accelerazioni istantanee e stacchi sulfurei, che donano una malvagia atmosfera all’intero disco.
Francesca Cicoria