Recensione: Hail The Abyss

Di Alessandro Marrone - 13 Luglio 2023 - 6:00
Hail The Abyss
Band: Thulcandra
Etichetta: Napalm Records
Genere: Black  Death 
Anno: 2023
Nazione:
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73

La malinconia è uno stato d’animo tra i più potenti in assoluto. Lo è perché tende in qualche modo a ricoprire un’accezione triste, un ricordo di qualcosa che non è parte del nostro presente, ma al contempo ribalta la sensazione stessa grazie alla possibilità di rivivere un ricordo felice, un momento che ha lasciato un segno indelebile nella nostra vita e che in un modo o nell’altro farà parte del nostro presente e quindi anche del nostro futuro. La malinconia è questo e molto di più, perché è facile snocciolare accademicamente un sentimento, molto più difficile rendere realmente idea di cosa significhi, proprio perché cambia per ciascuno di noi.

I Thulcandra sono etichettati come gruppo blackened death metal, ma se realmente vogliamo categorizzarli faremmo prima a definirli come il tributo definitivo alla leggendaria creatura di Jon Nodtveidt: i Dissection. La malinconia entra in gioco più che altro perché il sound non è soltanto fortemente debitore del compianto e controverso frontman, il quale ha deciso – nel 2006 – di togliersi la vita “a seguito del raggiungimento di tutti i propri obiettivi” (cito, ndr), ma una vera e propria ripresa dell’identità sonora di una delle band più rappresentative in ambito estremo, anche al di fuori dell’elitaria cerchia black metal. Lo si percepisce anche dalla parte visiva, dalle copertine, dai toni quasi monocromatici che tendono a ripercorrere lo stile assoluto dei Dissection.

A rendere il tutto plausibile – almeno sulla carta – ci sono strumentisti del calibro di Steffen Kummerer (Obscura), coadiuvato da una sezione ritmica che paga pegno ad una natura più incline al death che al black, ma che nel corso dei 13 anni di carriera sono comunque riusciti a dar vita a quattro album solidi e immancabilmente ispirati al loro obiettivo ultimo. Hail The Abyss è il quindi lavoro e viene pubblicato a due anni di distanza dal precedente e notevole A Dying Wish, proponendo ancora una volta una chiave contemporanea che riesce a varcare la soglia di un sound che sembra realmente venuto dai primi anni 90, periodo in cui il black metal era non soltanto innovazione e provocazione, ma un vero e proprio stravolgimento dei canoni musicali, anche in ambito estremo. Ciò che riuscirono invece a fare i Dissection fu inserire tratti melodici di chiara matrice svedese, in una maniera inavvicinabile per chiunque, all’epoca e per gli anni a venire.

Come detto, Hail The Abyss non va quindi considerato un clone, proprio in virtù del fatto che sia palesemente e dichiaratamente inginocchiato di fronte al sound di Nodtveit, ma ciò non toglie che il costante paragone faccia spesso domandare la vera necessità di dare vita ad un gruppo che si poggi su queste pagine di storia che chiunque abbia un minimo di conoscenza musicale non può ignorare. Nessuna novità quindi, o almeno in parte. I Thulcandra hanno dalla loro una padronanza tecnica e un’abilità compositiva che riesce infatti a delineare in pieno il sound voluto (a tavolino), centrando l’impresa di uscire fuori dal limite temporale imposto dall’ora e adesso, suonando proprio come se stessimo ascoltando un disco registrato oltre 30 anni fa, nelle più desolate e gelide lande scandinave.

Certo che il mood tende a ripetersi, alle volte risultando quasi prevedibile, ermetico, ma forse è proprio così che deve essere, perché con un minutaggio importante, Hail The Abyss riesce a tenere alta l’attenzione e coinvolgere sin dal primissimo ascolto, lasciando che le volte successive si possano apprezzare alcune finezze tecniche mai messe per puro caso e tutte votate a rendere il quinto album dei Thulcandra qualcosa di più che un ulteriore tributo ai Dissection. Ovviamente non possiamo esimerci da tenere incollato alla fronte il paragone – del resto è proprio il senso dell’esistenza stessa della band – ma se prendiamo l’album e lo allontaniamo da questa delicata e pesante eredità, allora il voto complessivo salirebbe senza indugio di una mezza dozzina di punti. L’effetto malinconia è talmente forte che ci sentiamo in sintonia, quasi noncuranti che ogni brano riesca a godere di vita propria, lasciando però che una volta raggiunto l’epilogo, anziché pigiare subito il tasto play, è probabile che andrete a rovistare nello scaffale alla ricerca dell’origine di tutto questo. Il motivo – oltre che il forte valore emotivo che ci rimanda ai bei tempi andati – è che certi capolavori non possono essere raggiunti, tantomeno replicati, perlomeno in stato di grazia. Quella dei Dissection è una favola maledetta scolpita a fuoco nel cuore di ogni appassionato. Quella dei Thulcandra è una pregevole realtà, sicuramente migliore del 70% delle altre band che attingono soltanto dalla fonte dell’ispirazione, ma la malinconia ci ha già fatto tornare là “dove gli angeli morti giacciono”.

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