Recensione: Haisen Monogatari

Un anno dopo l’ottimo “Hagakure II” i Bloody Tyrant pubblicano il presente full-length “Haisen Monogatari“, uscito nel 2024. Proseguono quindi l’evoluzione della loro proposta musicale, aggiungendo altresì alcune novità e ciò che vi apprestate a leggere è la nostra opinione.
Un contesto generale
L’ingresso di Kin, cantante femminile nel 2021, ha portato certamente nella band una ventata di aria fresca, in quest’opera evidenziata da veri strumenti sinfonici ed espedienti acustici. C’è inoltre una maggiore cura nel comparto tecnico, specie nelle chitarre virtuose ma mai ridondanti, nonché una maggiore esplorazione dell’affascinante cantato pulito femminile. Grande protagonista anche il pipa, elemento caratterizzante del gruppo e che dona un’aura scintillante e vibrante alle tracce. Il risultato è un album che include gli echi migliori l’elegante aggressività di “Legacy of Sun Moon Lake”, l’epicità solare di “Myths of The Islands” ed il piglio moderno di “Hagakure II“.
La recensione di di “Haisen Monogatari”
Il disco si compone di otto tracce, per un totale di poco più di mezz’ora, ma molto intenso e soddisfacente nell’ascolto. In particolare, si parte alla grande con “Yosai”, uno dei pezzi migliori del disco per combattività senza compromessi, epicità poetica e velo romantico. Queste emozioni si combinano in modo ancora più convincente in “Shinkoku Genso”, forse il più completo nella varietà stilistica. Un pezzo complesso, terremotante ma dotato di una grazia unica. Nella “top 3” anche “Hikiage” un brano prezioso nel suo spirito sognante e meditativo, abbinato ad una cavalcata black death furiosa. Irresistibile poi il suo refrain “sayonara!”, trainato dai cori e dal cantato in clean.
Leggermente più sotto a queste, – ma comunque dei grandi pezzi – sono le canzoni che si trovano della seconda metà dell’opera. Tra queste emerge l’affascinante “Kyujo Jiken”, malinconica nell’animo e per certi versi inafferrabile.
Da citare anche “Justice ?” dall’istinto quasi dark punk in certi frangenti, il più oscuro ed estremo tra i brani qui menzionati. Il pipa, che duella con la batteria e le chitarre, è un capolavoro sul filo del rasoio.
Se bisogna indicare degli episodi più “deboli” di “Haisen Monogatari”, quando messi a confronto alle altre, quelli si possono trovare vagamente in “Daikushu” e “Jungu”. Non fraintendiamoci, sono dei pezzi molto validi, ma presentano dei momenti meno personali e convincenti, a tratti più Chthonic e meno Bloody Tyrant, specie “Daikushu”.
Conclusione
Con “Haisen Monogatari” i Bloody Tyrant propongono essenzialmente un disco di ottimo livello, in cui la sinergia con la voce femminile di Kin, potente e versatile, ha subito una nuova evoluzione. Una voce di cui i Nostri avevano bisogno e che gli ha consentito di esplorare e sviluppare uno sound più personale e distintivo. La strada è quella giusta. Buona la produzione, seppur forse tendente un filino troppo al grezzo. Da ascoltare assolutamente per gli amanti del folk metal e non solo.
Elisa “SoulMysteries” Tonini