Recensione: Halfway to Heartache
A distanza di due anni, tornano sugli scaffali i finlandesi Human Temple, araldi scandinavi di un hard rock melodico e pulito, in grado di far breccia nel cuore dei fan e di convincere la critica. Dopo l’ottima accoglienza ricevuta per Murder Of Crows, il quintetto non ha perso tempo adagiandosi sugli allori e si è messo subito al lavoro, completando in tempi ragionevoli questa nuova fatica discografica. La pressione sarà stata troppa e la band avrà mancato il bersaglio o, piuttosto, abbiamo davanti una nuova gemma di scintillante AOR? Inutile continuare a rimuginare, mettiamoci comodi, alziamo il volume del nostro impianto e premiamo il tasto play!
È un attacco pompante ed energico quello di I Will Follow, un’incalzante cavalcata che si spinge in territori più vicini a quelli del power metal che dell’hard rock. Batteria martellante, riff immediati e una tempesta di potenza sonica eruttano senza sosta dalle casse dello stereo, un inizio in grande stile, forse non particolarmente originale, ma decisamente godibile. Anche Bleeding Through si muove lungo i binari delle sonorità immediate e accattivanti, con fraseggi brevi e ammiccanti e melodie piacevoli, che impegnano poco l’ascoltatore, ma riescono lo stesso ad intrattenerlo e metterlo di buon umore. Cavallo che vince, non si cambia: sebbene le armonie si dipanino e la struttura diventi più ariosa, Like a Beat of a Heart non si discosta in maniera rilevante da quanto ascoltato fino a questo momento, sebbene risulti complessivamente meno incisiva, soprattutto a causa dello scarso brio degli strumentisti, che non si spremono particolarmente e realizzano una performance, tutto sommato, di poco spessore. Our World Our Time si getta a capofitto nel calderone dei brani ad alto contenuto di melodia; ci troviamo di fronte ad un pezzo che, in chiave acustica, sarebbe perfetto per un falò sulla spiaggia, con Hurme che inietta la giusta dose di partecipazione emotiva, mentre i suoi compagni di avventura lo accompagnano con brio, aumentando il ritmo semitono su semitono senza mai scomporsi più del necessario. I minuti passano ed ecco una nuova canzone che rischia di radicarsi nella testa dell’ascoltatore e accompagnarlo per giorni successivi; Almost There si aggrappa dentro i padiglioni auricolari ed è facilissimo ritrovarsi a canticchiarla dopo ore, complici i riff accattivanti e i solo di chitarra, che fanno la gioia di ogni buon air guitarist che si rispetti. Run Away è un episodio trascurabile all’interno della produzione, una traccia senza infamia e senza lode che non possiede particolari pregi, ma con difetti che non pesano particolarmente nel quadro complessivo.
Piccolo intermezzo, la cover del classico dei Fleetwood Mac, Little Lies. In questo caso, il passo falso è completo, la canzone perde completamente di spessore e non riesce a ricreare in nessun modo il coinvolgimento dell’originale. La rivisitazione è, probabilmente, anche un momento per sperimentare nuove sonorità, basti pensare all’inserimento del growl, altrimenti assente nell’album; il problema è che il risultato è un po’ troppo forzato e raffazzonato per risultare convincente. Peccato, passiamo oltre e riprendiamo quota con Because of You, incalzante e appagante, con momenti martellanti alternati a crescendo melodici in grado di accompagnare degli strumentisti che, finalmente, ritrovano la loro forma migliore e non si tirano indietro quando si tratta di infondere energia nella propria musica. L’esordio aggressivo di Misery coglie in contropiede, massiccio e graffiante, da il via ad una traccia più decisa, un brusco cambio di marcia, che traccia i contorni di un brano in cui la band si permette nuovamente di osare, stavolta riuscito in pieno ad imboccare la strada della sperimentazione. Some Things Are Never Long Time Ago è un pezzo piuttosto scolastico, melodico e piacevole, non si sbilancia particolarmente né sull’intelaiatura armonica strumentale, né per quanto riguarda i testi. Banale senza essere fastidioso, ci regala comunque alcuni momenti felici, anche grazie alla chitarra di Tuominen, decisamente convincente. Arriviamo al termine del disco con la sentimentale ballata She Talks to Angels: delicata, suadente, un lento addio che si dipana senza fretta, accarezzandoci e sfumando lentamente, in un etereo sigillo che si adagia morbidamente su Halfway to Heartache, chiudendolo.
Torniamo, dunque, alle domande che ci eravamo posti all’inizio della recensione. I finlandesi hanno bissato il successo del disco precedente o si sono persi per strada? Il giudizio complessivo è sicuramente positivo, abbiamo tra le mani un album coinvolgente e ben realizzato, caratterizzato da sonorità pulite e armonie ben incasellate. Peccato per l’eccessiva ovvietà che permea alcuni passaggi, che appiattiscono un po’ il quadro d’insieme e lo rendono meno gradevole; non che mi aspettassi un amalgama di free jazz e progressive, ma alcune ingenue banalità avrebbero potute tranquillamente essere evitate. Detto ciò, questo CD è consigliato a tutti gli amanti di quel rock che, pur mantenendo energia e potenza, non rinuncia a far emozionare l’ascoltatore. Se siete in cerca di solo iper-tecnici, voci maleducate o sonorità distorte, avete decisamente preso un abbaglio leggendo tutta questa recensione!
Damiano “kewlar” Fiamin
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Tracce:
1. I Will Follow
2. Bleeding Through
3. Like a Beat of a Heart
4. Our World Our Time
5. Almost There
6. Run Away
7. Little Lies
8. Because of You
9. Misery
10. Some Things Are Never Long Time Ago
11. She Talks to Angels
Formazione:
Janne Hurme: voce
Risto Tuominen: chitarra
Kalle Saarinen: batteria
Jori Tojander: tastiera
Harri Kinnunen: basso