Recensione: Hallucinogen
Puoi tu resistere a una copertina con dei funghi (spugnole?) viola in primo piano e il cosmo sullo sfondo? La risposta ovviamente è no, anche se imbarcarsi nella scoperta di un album partendo dal fatto che ha una bomba di copertina spesso riserva brutte sorprese, per non usare francesismi, anche con nomi illustri. E qui, oltre alla supercopertina abbiamo, in effetti, un nome illustre, quello dei Blut aus Nord, tra i maestri indiscussi del metal estremo “sghembo e strano”.
Blut aus Nord che tornano, in questo 2019, con un album che si presenta atipico già per la sua curiosa storia discografica. Originariamente avrebbe dovuto uscire il 10 ottobre (venerdì scorso) ma è proditoriamente finito in rete anzitempo e così la Debemur mortis ha deciso di anticiparne la pubblicazione al 20 settembre.
Ci sarebbe da dire che i francesi sono reduci da un disco, “Deus Salutis Meæ”, che ha nettamente spaccato a metà il pubblico. In realtà però parlare del recente passato alla luce di “Hallucinogen” ha poco senso. Il nuovo parto dei transalpini pare in effetti una vera e propria rifondazione, un cambio di rotta deciso alla scoperta di nuove mete. Si avvicina vagamente alla trilogia “cosmica” del 777, pur abbandonandone le atmosfere oscure.
Perché, come la copertina di cui sopra lascia intendere, “Hallucinogen” è un disco cosmico. Anzi, un disco cosmicamente allucinato che fonde il black metal e la psichedelia come probabilmente nessuno aveva fatto finora. Un disco veloce, tagliente ed aggressivo, una cavalcata folle e coloratissima a dispetto della chiara matrice black. Il risultato che sembra uno strano scontro tra Hawkwind, Mesarthrim e ancora qualcuno. In effetti può sembrare strano, eppure il mitico “Doremi fasol latido” viene più volte in mente durante l’ascolto di “Hallucinogen”. Sarà l’impostazione comunque grezza dei riff, saranno certi assoli in bilico tra anni settanta, ottanta e novanta, sarà la produzione che dà un senso di non esattamente pulito, fatto sta che questo disco sa molto di old school pur essendo a tutti gli effetti moderno, sperimentale e innovativo.
A fare da contraltare a tali chitarre old school ci sono tastiere onnipresenti ed estremamente acide, unite a degli strani cori sacrali di sottofondo che coprono di colori il vuoto siderale e rendono i sette pezzi estremamente suggestivi. Ecco, il cantato, mai particolarmente usato dai BAN, viene qui del tutto ignorato, sicché “Hallucinogen” può essere preso come un disco del tutto strumentale – i cori di cui sopra sono di fatto strumentazione aggiunta.
Pezzi che, alla luce di quanto detto, sono tutti estremamente compatti. Non nel senso che sono brevi, tutt’altro, ma nel senso che si basano su coordinate simili. Eppure la varietà di soluzioni messe sul piatto dai Blut aus Nord sono notevoli. Si va dall’apripista “Nomos Nebuleam”, 8 minuti di cavalcata a ritmi sostenuti, a “Mahagma”, il pezzo più vicino al black atmosferico classico, non fosse per le atmosfere acide che la rendono qualcosa di incredibile. Si va dagli assoli lisergici che animano “Nebeleste” e soprattutto Haallucinählia, forse il pezzo che meglio accosta il black al prog degli anni settanta, agli spaventosi cambi di ritmo di “Anthosmos”.
E questo è “Hallucinogen”, un album in cui non vi è un singolo secondo di troppo. Un album che si ascolta d’un fiato e con vero piacere. Soprattutto, un album che ridà spolvero alla verve creativa e sperimentale dei Blut aus Nord e, mancasse mai, apre nuove vie al cosiddetto progressive black. Vie lontanissime, a scanso di equivoci, da quelle tracciate dai maestri del genere, gli Enslaved, se si esclude la conclusiva “Cosma Procyiris”. Tra i dischi dell’anno.