Recensione: Hallucinosis
Symphonic death metal.
Da sempre, non suona così bene. Alterando spesso lo zoccolo duro del death. Meglio symphonic black metal? Dipende. Quando il confine fra i due sottogeneri death e black è, alla fine, disegnato dalle linee vocali o, meglio, dal growling a vece dello screaming, non fa poi tanto differenza, in fondo. Di musica estrema con poderose orchestrazioni, si tratta. Ed è questo, il fatto più importante. Quello che segna con maggior forza un sound come quello dei finlandesi Creinium, al debutto sulla lunga distanza con questo “Hallucinosis”.
Sound pieno, corposo, denso. Le tastiere di Antti Myllynen, difatti, riempiono l’etere con la loro maestosa presenza. Sia nella stesura degli ampi, sterminati tappeti che avvolgono i Crenium tutti, sia quando si tratta di ricamare fini e delicati orpelli. Disegnare corpi celesti, ammassi stellari, nebulose dai colori dell’iride. Questo, è, fondamentalmente, il suono elaborato dal sestetto di Helsinki. Una base violenta, dura, massiccia. Costruita con il riffing instancabile delle chitarre di Tone Nyström e Mikko Asplund, splendide protagoniste anche in occasione dei soli (‘Vigilance’). Il basso Miiro Varjus cuce, poi, tutto il lavoro svolto dai compagni; tenendo assieme il tutto soprattutto quando il drumming di Aleksi Holma diverge in direzione dell’abisso dei blast-beats (‘God Monument’).
Il risultato finale è eccellente. L’insieme, cioè con il growling mai noioso di Eeli Helin, ha una forza visionaria enorme, riferita specificamente al Cosmo. Ai suoi segreti, ai suoi silenzi, ai suoi astri, ai suoi pianeti, alla sua immensità, alla sua indefinibilità. Spazi infiniti. Vuoti ma pieni di materia. Esattamente come il sound dei Nostri. Sterminato. Zeppo di note, di armonie, di melodie, di aggressività. Stupefacente, per esempio, ‘Prometheus Through Immolation’, song assolutamente straordinaria che catapulta la mente chissà dove. Lontano, a precipitare attraverso qualche wormhole distante eoni-luce, a sfiorare l’irraggiungibile luogo ove nascono i sogni.
“Hallucinosis” dura oltre un’ora. Non poteva essere altrimenti, giacché tutti i suoi brani sono delle suite, o quasi. La concentrazione di musica è tale che per forza, onde diluirne la massa sì da essere compresa dalla mente, non sarebbe stato né logico né sensato proporre dei pezzi dal timing classico.
L’eccezionale ‘Seams’, opening-track dopo il breve incipit strumentale di ‘Hallucinosis’, rappresenta un po’ il sunto dell’album stesso. Significando, in particolare, la non comune capacità dei Creinium di scatenare la trance da hyper-speed, quando i BPM assumono valori quasi assurdi, bombardando i neuroni con la loro energia, fungendo in tale modo da motore per la proiezione del pensiero nei più oscuri anfratti della Galassia. Una suggestione che assume valori massimi in ‘Astral Strain’. Non a caso.
E non a caso l’incredibile inizio di ‘The Ophidian Heir’ è qualcosa di profondamente misterioso. Perché itera questo talento estremamente allucinato posseduto dai Creinium, che permea “Hallucinosis” sino al midollo. Anche stavolta, non a caso. È sufficiente estraniarsi da ciò che circonda, ascoltare per esempio ‘Conscious Eclipse’, poi, per dimenticare le coordinate spazio-temporali che regolano la monotona, cruda realtà del Mondo. Per fuggire in luoghi sconosciuti, illimitati nella loro distanza dalla Terra.
Molto, molto bravi.
Daniele D’Adamo