Recensione: Hammer of the Witches
Prendersi una pausa, a volte, è cosa buona e giusta. Credo sia questo uno dei primi pensieri che sorge in mente all’ascolto di “Hammer of the Witches”, primo album dei Cradle of Filth dopo circa tre anni e dalla vera e propria abbuffata che, in brevissimo tempo, aveva portato a “Darkly, Darkly, Venus Aversa”, “Evermore Darkly…”, “Midnight in the Labyrinth” e “Manticore and Other Horrors”. Uno dopo l’altro, i suddetti platter si erano dimostrati variamente deludenti sotto diversi punti di vista: mancanza di ispirazione, sperimentazioni fallimentari, incapacità di gestire nel modo dovuto le orchestrazioni, pedissequo e sterile riciclaggio del passato.
Visti i risultati delle ultime prove e il tempo passato, è con ovvie aspettative che i fan dei vampiri inglesi aspettassero questo “Hammer of the Witches”, andiamo dunque a scoprire cosa Dani e soci hanno in serbo per noi questa volta.
L’impressione è che questi tre anni siano serviti ai Cradle of Filth principalmente per riassestarsi e trovare (o forse ri-trovare) la propria dimensione. L’uscita di Paul Allender, storico chitarrista della band, infatti, è stata una di quelle notizie che hanno fatto maggiormente preoccupare i fan, soprattutto vista la sua importanza in sede di song-writing. Raramente, inoltre, i Cradle, pur gruppo che non ha mai avuto una line-up particolarmente stabile, hanno visto un rinnovamento così massiccio in una volta sola come l’ingresso di 3 nuovi membri in una volta sola: Ashok e Rich Shaw alle chitarre e Lindsay Schoolcraft a tastiere e voce femminile.
Anche dal punto di vista “estetico” possiamo notare dei cambiamenti: niente più computer grafica per le copertine, ma la scelta di rivolgersi alla canonica pittura a olio su tela, demandata all’artista Arthur Berzinsh, per illustrare il concept su cui si snodano le tracce del disco.
Cosa è, infatti, questo “Martello delle Streghe”, di cui si accenna nel titolo?
Semplicemente altro non è che la traduzione in inglese di “Malleus Maleficarum”, titolo di uno dei più famosi (o famigerati) compendi per la caccia alle streghe, pubblicato nel 1487 e firmato dai frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer. In realtà in questo volume vi era ben poco di originale, dato che “prendeva in prestito” a piene mani da manuali precedenti, come il “Directorium Inquisitorum” di Nicolas Eymerich, ma la sua ampissima diffusione nel periodo apice della caccia alle streghe, dei roghi e dei tribunali inquisitoriali, lo ha reso il più famoso libro sulla stregoneria di tutti i tempi.
Il disco viene aperto da “Walpurgis Eve”, una intro, come sempre, dal sapore sinfonico che ricorda le colonne sonore dei film horror. L’ispirazione, in questa occasione, sembra un po’ meno viva del solito, al punto da ricordare forse troppo da vicino alcune composizioni di Danny Elfman (celebre compositore delle colonne sonore di quasi tutti i film di Tim Burton).
Con “Yours Immortality…”, prima vera e propria canzone dell’album, invece, il registro cambia completamente e si percepisce nel songwriting una freschezza che non sentivamo da tempo nelle uscite dei Cradle of Filth. Una freschezza non ristretta a questa sola traccia, ma che si estende, con alti e bassi, per tutta la scaletta.
Chi poteva essere preoccupato per l’uscita di Allender, vedrà i suoi dubbi volatilizzarsi all’udire i primi riff. La nuova coppia di chitarre, infatti, sembra trovarsi perfettamente a suo agio nell’ambito del vampirismo d’albione e, pur senza aggiungere nulla di nuovo, riesce nel difficile compito di riformulare, riproporre, donare nuova vita ad atmosfere e soluzioni che apparivano ormai stantie.
Importante e per nulla secondario anche l’apporto della nuova tastierista Lindsay Schoolcraft: contrariamente al recente passato le partiture sinfoniche tornano a godere della giusta importanza e rilevanza all’interno del songwriting, invece di essere relegate a mero riempitivo. Magniloquenti, ariose, inquietanti a seconda di cosa richiede il momento, capaci, finalmente, di dare una marcia in più ai brani e non più solo un obbligo imposto dalla storia del gruppo e dai gusti dei fan come in “Manticore and Other Horrors”.
La stessa struttura dei brani denota come alle spalle ci sia di nuovo voglia di scrivere musica, come ci sia una certa ispirazione e la voglia di fare qualcosa di diverso. Non più, infatti, il solito compitino per buttare fuori il nuovo, obbligatorio, album, non più la solita struttura strofa-ritornello, strofa-bridge-ritornello, bensì strutture ogni volta diverse. Diversità che, nella maggior parte dei casi, si rispecchia anche sui brani stessi. Certo, non stiamo parlando di un disco dei Die Apokalyptischen Reiter, è pur sempre un CD dei Cradle of Filth e ne segue fedelmente i dettami, eppure non si udiva una tale qualità da queste parti da almeno un decennio abbondante.
Qualche passo falso permane, per esempio nel deboluccio break strumentale “The Monstrous Sabbat (Summoning the Coven)” o in “Blackest Magick in Practice”, in cui il senso di dejà-vù diventa davvero fin troppo forte, ma sono piccoli difetti che si è portati a perdonare quando si può ascoltare lo scream di Dani Filth che sembra ringiovanito di vent’anni.
Per concludere: “Hammer of the Witches” è un inatteso e gradito ritorno per i vampiri d’albione. Dopo la profusione di uscite di tre anni fa, tutte di mediocre qualità, ci eravamo un po’ rassegnati a un netto calo d’ispirazione di Dani e soci. Questa nuova uscita dei Cradle of Filth, invece, pur non presentando assolutamente nulla di nuovo, non è neanche la solita vecchia minestra riscaldata, bensì un gran bel lavoro che rinverdisce i fasti di un periodo in cui la band dell’Ordine del Drago faceva parlare di sé solo in positivo. Speriamo continuino così.
Alex “Engash-Krul” Calvi