Recensione: Hand.Cannot.Erase
The Raven That Refused To Sing (And Other Stories) è stato senza dubbio uno degli ultimi capolavori usciti in ambito prog degni di chiamarsi in questa maniera: era un disco quasi perfetto con una line up stellare e un songwriting di altissima qualità, mai banale e mai sterile o stereotipato. Ce l’avrà fatta il buon Stefano Uilsoni a fare un altro colpaccio?
Cominciamo subito col dire che la squadra che vince ovviamente non si cambia; troviamo quindi anche in questo Hand. Cannot. Erase. la stessa line up di The Raven, ormai consolidata assieme al mezzo crinito artista inglese. Questo fattore è determinante in sede di valutazione del disco, se non fondamentale. Già dai primi ascolti si inizia a intuire che l’antifona è cambiata ma non troppo; sono undici i pezzi per 66 minuti di musica, fin troppi a dire la verità, si ha spesso la sensazione che molte cose siano lì dilatate al massimo e poste per allungare il brodo. First Regret è un’intro che dice poco e niente e lascia presto spazio al primo vero e proprio pezzo del lotto, 3 Years Older. Questa si dilunga e si dipana risultando quasi una b-side di Luminol e tiando fuori sonorità ariose che ricordano il buon Neal Morse periodo “Ho visto la luce”. La parte cantata in acustico è molto british, tantissimo british e ancora di più Kscope sound, ma nessuno si aspettava niente di diverso. La parte strumentale fa un po’ ciò che le pare dando però l’impressione di essere soffocata ad ogni timido accenno di passaggi un po’ più intricati. Verso il finire il pezzo esplode con assoli impeccabili e la ripresa del tema portante. Buon inizio.
La title track è ruffianissima, semplice, da viaggio e molto radiofonica; ha dalla sua una facile melodia ma allo stesso tempo nessun picco di eccellenza in grado di rimanere impresso nell’ascoltatore. Ci si aspetterebbe un’accelerata, invece i toni si smorzano ancora di più del già smorzato con Perfect Life che proprio rasenta il soporifero. Consiste in quasi cinque minuti di base elettronica con discorsi fatti da una voce femminile che precedono una nenia che, più che descrivere una vita perfetta, descrive un cappio. Routine sarebbe bellissima se non impiegasse sei minuti a partire, e quando parte dura troppo poco: è una canzone sbilanciatissima ancora su temi acustici, onirici e che di prog hanno ben poco. Ci si sveglia con gli assoli e la voce femminile che finalmente intona una melodia degna di nota; si ha a questo punto l’impressione che la sostanza in questo album si veramente poca.
In Home Invasion finalmente si suona e finalmente la line up si può esaltare in quello che risulterà tra i migliori brani dell’album: non c’è niente fuori posto e risulta ben bilanciato in tutto. Questo è il prog che volevamo sentire fin dall’inizio!
Regret #9 si lega perfettamente a Home Invasion ed è il momento degli assoli: inutile disquisire sulle capacità balistiche di Govan, Minnemann e Holzman, già lo sapete, soffermiamoci però sul punto focale della recensione, ovvero il fatto che siano degli arrangiatori fuoriclasse a salvare la baracca. Hand. Cannot. Erase. è un disco che offre un songwriting davvero fiacco e privo di idee vincenti; il buon Stefano ha qui raschiato il fondo senza offrire niente di nuovo o niente di qualitativamente paritario a The Raven. Sono moltissimi i momenti morti e raffazzonati nel disco e davvero pochi i picchi di eccellenza che non siano esecutivi o a livello di produzione (perfetta, c’era bisogno di dirlo?). Transience non è niente di speciale e scorre senza colpo ferire; gli oltre tredici minuti di Ancestral parlano invece un’altra lingua. Sorvoliamo l’abitudine di iniziare con 4-5 minuti di nulla e partiamo dall’assolo dell’immenso Guthrie che dura davvero troppo poco. Si ritorna al soporifero andante e finalmente si giunge al dunque con degli ottimi saliscendi e i soliti fraseggi al limite della perfezione. Ottimo il finale.
Happy Returns è l’ennesimo momento acustico e l’ennesimo momento che sembra fatto con lo stampino; sarebbe anche un buonissimo pezzo, ma ha dalla sua una collocazione in tracklist non felice. L’aver tagliato qualche inutile traccia precedente in favore di un maggiore risalto a questo brano non avrebbe di certo fatto male al disco, anzi. Chiudono il tutto i due minuti scarsi di Ascendant Here On.. che, di certo, non aggiungono o tolgono qualcosa all’opera appena ascoltata.
Concludendo, Hand. Cannot. Erase. è un disco discreto e nulla più, che più che emozionare annoia e sa di confezione ben fatta con dentro spirali di fumo in grado di ammaliare chiunque. Il buon Stefano Uilsoni è un grandissimo artista, interprete e fonico e non ha certo bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno; con un disco di questo tipo però non fa notizia e non porta eccellenza ma un momento di stanca che in una carriera come la sua ci può stare eccome. L’avere intorno esecutori e arrangiatori di livello incredibile è una mossa che si rivela sempre e comunque furba: porta alla perfezione un disco eccellente e nel negativo lo salva. Hand. Cannot. Erase. si colloca nel secondo caso e di certo non passerà alla storia come uno dei lavori migliori dell’inglese; il voto rispecchia ciò che è e ciò che ci dovrebbe essere in futuro, una piccola, grande rivoluzione.