Recensione: Happiness Bastards
Il mio personale battesimo di fuoco con i The Black Crowes risale a trentatré anni fa. Correva l’anno 1991 e in quel dell’arena della festa dell’unità di Modena si svolse il Monsters Of Rock. Era un sabato, quel 14 di settembre. Il bill rispecchiava l’atteggiamento di quei tempi: poche band in cartello ma con i controcolleoni. Nessuno spazio (o quasi…), quindi, per quelle liste infinite di gruppi che interessano a venti persone – ad andare bene – messi dentro per compiacere l’etichetta, il promoter, l’agenzia, la città o la nazione ospitante.
Cinque fucilate una dietro l’altra: Negazione – il cui moniker però non appariva nei mega manifesti originali – The Black Crowes, i Queensryche con Geoff Tate, Metallica, AC/DC.
Tornando ai Corvi Neri, essi si palesarono sul mega palco del Monsters dopo l’esibizione infuocata dei nostrani Negazione, agghindati come dei nostalgici hippy e affini, anticipando quello che poi sarebbe accaduto di lì a poco. Basti pensare che solamente dieci giorni più tardi avrebbe visto la luce Nevermind dei Nirvana, album spartiacque di un’era musicale. Ma in quel momento nessuno lo poteva sapere.
La premiata ditta Robinson Bros & Co. era attesa al proprio varco italiano, dopo i positivi sconquassi operati nelle classifiche mondiali di vendita dal loro esordio Shake Your Money Maker, album letteralmente saccheggiato durante la loro performance alive che inanellò: “Twice as Hard”, “Thick N’ Thin”, “You’re Wrong”, “Stare It Cold”, “Hard to Handle (cover di Otis Redding), “Shake ‘Em On Down/Get Back”, “Jealous Again”.
Se si esibirono di fronte a tutte le quarantamila persone di quella giornata ma a qualcuna in meno poco importava agli americani che, grazie a una prova tutta muscoli, sudore e rock’n’roll conquistarono molti nuovi seguaci, fra i quali lo scrivente.
Da quel settembre del 1991 di acqua sotto i ponti ne è poi passata parecchia, fra dischi pubblicati, morti eccellenti, tira e molla e vari scazzi fra il cantante Chris Robinson e suo fratello, il chitarrista Rich. Scioglimenti e riappacificazioni che dopo la reunion avvenuta nel 2019 hanno portato la band a pubblicare in questo primo scorcio del 2024 l’album Happiness Bastards, il decimo della loro storia, che curiosamente non riporta il nome del gruppo in copertina. Ad accompagnare i due Robins il vecchio sodale Sven Pipien (basso), Nico Bereciartua (chitarra), Cully Symington (batteria) ed Erik Deutsch (tastiere).
Evidentemente i quattordici anni intercorsi fra questo nuovo disco e il precedente Croweology del 2010 hanno fruttato bene. I Bastardi felici ricompresi dentro il cd griffato Silver Arrows Records assommano a dieci e incarnano un concentrato di fottuto boogie’n’roll fumigante, vecchia maniera, jack nell’amplificatore e via sino al termine. Una situazione quasi sorprendente per un gruppo nato nel 1984, con tante primavere sul groppone.
Happiness Bastards suona Black Crowes al 100%: non mancano gli ammiccamenti al southern rock (“Wanting and Wanting”), i rigurgiti blues (“Rats and Clown”, “Bedside Manners”, “Cross your Fingers”), l’hard roll (“Flesh Wound”) poggiato sul consueto impianto base ben addentellato nelle radici del rock’n’roll elettrico, come ai tempi del loro esordio, occhieggiando tanto ai Rolling Stones e gli Aerosmith (“Dirty Cold Sun”) quanto all’accoppiata magica The Allman Brothers/Lynyrd Skynyrd. Per chiudere, sugli scudi la ballata “Wilted Rose” che annovera come ospite la cantante Lainey Wilson, con risultati apprezzabili, anche se va sottolineato che si sarebbe meritata uno spazio maggiore. Un pezzo senza dubbio molto più ficcante dell’ultima traccia del lotto, l’altro lento, “Kindred Friend”.
Il fluido emanato dal decimo Black Crowes si manifesta in maniera sinuosa e penetrante, capace di colpire direttamente al cuore di chi si pone all’ascolto, riuscendo a conquistare, passata dopo passata, la sua fiducia, sino a divenire incondizionata.
Happiness Bastards: un disco che non inventa nulla di nulla, in grado però di rivitalizzare in maniera sublime la grande lezione dei maitre a penser del passato, tanto da suonare fresco come quello di una band all’esordio con il futuro già scritto nel firmamento del successo.
Fare cose semplici colpendo nel segno. Come spesso è accaduto agli AC/DC, ma anche ai The Black Crowes in questo 2024.
Stefano “Steven Rich” Ricetti