Recensione: Har
Tornano, dopo ben 8 anni, i Dordeduh, band che si poggia sulle spalle di Hupogrammus e Sol Faur. Nomi che ai più forse dicono poco, ma che hanno dato un contributo fondamentale a posizionare la Romania sullo scacchiere del metal mondiale. Questi due musicisti erano infatti, assieme al defunto Negru, il nucleo portante degli indimenticabili Negură Bunget. Va da sé che, dunque, i Dordeduh siano una sorta di eredi dei Negură (non ne conservano il nome per diatribe legali di cui non stiamo qui a discutere). E, col debut “Dar de duh”, in effetti, i nostri avevano dato effettivamente un consistente seguito al sound che aveva fatto grande “Om” (per dirne uno a caso). Ora tocca a “Har” proseguire la linea. E “Har” prosegue.
Tutto gira a meraviglia, i rumeni sembrano molto in forma e “Har” è l’ennesima conferma di una carriera costellata di successi. È un disco compatto, che pur restando in linea col passato ha il suo piglio originale e sembra proiettato verso il futuro.
Una linea fatta di black oscuro misto ad atmosfere trascendenti. E ci riesce assai bene. Bastano i primi minuti di “Timpul Întăilor” per capirlo. Atmosfere “tibetane” (alla fine “Om” non si chiamava così per caso) su cui irrompe una base di chitarre black marziali e oscure, ma non forsennate. E poi si viaggia tra paesaggi cosmic, atmosfere sorprese e le meravigliose clean di Hupogrammus. “Timpul Întăilor” è sicuramente uno dei vertici dell’album.
L’altro vertice incontestabile di questo lavoro è “Descănt”, di cui potete vedere il lyric video qui in calce. La proposta dei Dordeduh resta invariata, ma acquisisce molta dinamicità. “Descănt” è il pezzo perfetto di questa band e senza dubbio una delle migliori composizioni del 2021. Tant’è che valutare il disco per un po’ di tempo è piuttosto problematico: si arriva alla terza traccia e la si mette in loop. Tutto il resto sparisce diventa una sorta di magma uniforme a far da contorno a questo pezzo favoloso. Da che uno pensa cosa sarebbe potuto essere questo disco se ci fossero state altre tre o quattro song di questa caratura, song che non snaturano d’un grammo la proposta della band rumena, ma le danno anche un’irresistibile orecchiabilità.
Fatto sta, però che anche il resto è degno di ascolto, e quando ci si riesce a posare l’attenzione, lo si nota. Alla finegli 11 minuti di “Vraci de nord” rivelano tutta la loro intricata bellezza, “De neam Vergur” è un viaggio nell’anima più psicoprog spaziale dei Dordeduh. Ecco, se proprio vogliamo trovare un reale neo a questo album, questo è dato da “Desferecat”, che pare un po’ un riempitivo, messo lì sostanzialmente per avere un pezzo aggressivo (o magari per sforare i 60 di durata).
Rimane però il fatto che “Har” resta un ottimo disco, un lavoro sofisticato e con l’anima del vero avantgard. Uno di quei dischi che dopo pochi minuti di ascolto è chiaramente riconducibile a chi lo ha creato.