Recensione: Hard Times

Di Francesco Maraglino - 12 Maggio 2018 - 10:11
Hard Times
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2018
Nazione:
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74

La Frontiers Music, l’etichetta italiana che rappresenta ormai da tempo un punto di riferimento internazionale in ambito hard rock, è ben lungi dal sedersi sugli allori dell’aver rilanciato l’AOR e l’hard rock melodico dopo l’eclissi degli anni novanta, anche attraverso la riscoperta delle principali band e dei musicisti più rilevanti dell’epoca (Toto, Journey, Whitesnake…). Non si sottrae, infatti, dal provare ad allevare un discreto gruppo di bands nuove, sebbene sostanzialmente allineate ai generi che contraddistinguono la label.
Se il versante scandinavo di tale roster di nuovi virgulti appare conforme ai dettami del rock melodico/AOR, da altre provenienze geografiche si scoprono nuove leve versate, invece, per un suono più sporco o bluesy, nonché carico di groove. Basti pensare agli Inglorious, ed ai Bigfoot, tra i più apprezzati giovanotti dediti ad un rock vitale sebbene devoto ai classici.
E’ il caso anche dei Doomsday Outlaw, quintetto del Derbyshire costituito dal cantante Phil Poole, dalla doppia chitarra di Steve Broughton e Gavin Mills, e dalla sezione ritmica formata da John’Ironfoot’ Willis (batteria) e Indy Chanda (basso). Nel maggio del 2016, dopo vari concerti, la band ha debuttato con l’autoprodotto “Suffer More”, ben accorto dalla critica.
La Frontiers si accorge del gruppo e lo mette sotto contratto per questo secondo lavoro, dal titolo “Hard Times”.

Anche qui i Doomsday Outlaw confermano la loro afferenza alla grande scuola del rock duro fatto da riff robusti, canzoni ben scritte ed  una sezione ritmica diretta e instancabile. Non manca una certa componente melodica, e, talora, un “tiro” ed una grana del suono non lontana dall’heavy rock contemporaneo. Siamo, insomma, nello stesso recinto di gente come Black Stone Cherry, Blackberry Smoke e Monster Truck o di eroi del passato come i Badlands, e l’immenso Glenn Hughes (soprattutto nelle sfumature più soul del canto).

Lo dimostrano canzoni come Hard Times (brano manifesto del platter, col suo hard rock ed heavy blues dai lick rocciosi di chitarre lambito da una certa aria roots), la più tosta Over And Over (corroborato dai riff circolari e solidi delle asce), Break You (incalzante ed avvincente con spunti bToo Far Left To Fall ( un teso hard rock innalzato tra assoli e riff incombenti e trafittivi).

Non tutto, però, riluce perfettamente, tra le note di “Hard Times”, ed altrove le canzoni appaiono più ripetitive e  co ensuete, nonché un poco meno centrate, pur se sempre ben eseguite e grintose. E’ il caso, a nostro parere, delle comunque dignitose e piacevoli Were You Ever Mine e Spirit That Made Me (quest’ultima caratterizzata da una coda di matrice southern).

Per questo motivo, si accolgono come squisiti momenti di “variazione sul tema” tracce di segno diverso come Into The Light, una  piano ballad molto intensa e commovente, e Days Since I Saw The Sun,  ballata veloce più lineare quasi ai confini del melodic rock.

“Hard Times” è, in definitiva, un buon lavoro con picchi qualitativi di rilievo e qualche non grave caduta nell’ordinarietà. Con esso, i Doomsday Outlaw si collocano in un settore – quello delle band giovani dedite a questo tipo di classic-rock – assolutamente benemerito, ma che comincia a sembrare inflazionato. In tale contesto, i prodotti del genere hanno senso, ad umile parere del vostro recensore, se di livello e personalità altissime (come nel caso di Rival Sons e Inglorious), altrimenti rischiano di generare un certo grado di assuefazione nel pubblico.

Francesco Maraglino

 

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