Recensione: Have A Rest, Please
Non sempre quel che arriva dall’est europeo in campo Grindcore si rivela oro… Un album che ci ricorda come anche in Slovacchia, terra dei vari Abortion e Sanatorium, possano fare un passo falso. Questo è Have A Rest, Please: un album uscito troppo prematuramente, che necessitava ancora di parecchie rifiniture per dare concretezza alle potenzialità della band.
Cito qualche nota biografica: i Protest sono al loro quindicesimo (!!!) anno di attività, pur avendo alle spalle solo un demo risalente al 1992 e due full lenght (What For Name When Humanity Is Dying del 1995 e About Human Idols, registrato nel 1998 ma uscito solo nel 2002).
Francamente l’ascolto non lascia intravedere molto della carriera alle loro spalle: alcune ingenuità del cd in questione sarebbero state perdonabili se fosse stato un debut, ma alla luce dei fatti assumono ben altro aspetto. A partire dall’artwork, passando per la registrazione e finendo alle canzoni, l’impressione è quella di un gruppo con qualche buona idea, ma che ha voluto far le cose in fretta. Una cosa alla volta (saltando magari l’artwork, del quale mi importa molto relativamente).
La registrazione: è abbastanza nitida, si capisce quel che suonano (eh sì, ogni tanto capita anche a noi grinder…), ma sta al polo opposto di quel che un gruppo come i Protest richiede! Zero potenza, suoni appiattiti uno sull’altro, chitarre con i toni alti troppo enfatizzati, sezione ritmica relegata in una cornice di contorno. Male, visto che il qui presente Rasty (batterista) ha i controcoglioni! Visto lo stile (di cui parlerò meglio in seguito) sarebbe stato di gran lunga preferibile un suono più sporco magari, ma anche maggiormente aggressivo, diretto, in your face. L’impressione è che, per tirar fuori un sound nitido, tutte le peculiarità tipiche del Grind siano state lasciate in secondo piano.
L’esecuzione: niente da dire, bravi musicisti. La batteria non si butta in improponibili passaggi, ed è un bene: preferisce la linearità, accompagnata da velocità e precisione invidiabili. Un discorso simile vale anche per le chitarre, sempre all’altezza del compito richiesto ma mai inopportunamente esibizioniste: si concentrano quasi esclusivamente sul riffing e sugli arrangiamenti, eseguiti con precisione. Il cantato è l’unico elemento sottotono: carine le classiche urla, da contrappunto ad un cantato più basso (in stile primi Nasum, tanto per dare un’idea) bruttarello e anonimo. Un mix poco riuscito, nè abbastanza potente nè ben impostato timbricamente.
Le canzoni: vuote, spesso scontate, messe in piedi senza troppo rispetto per il risultato finale. La mia impressione è che i Protest abbiano messo su un cd affidandosi più alle proprie capacità tecniche che alle idee concrete. Anche definire lo stile non è facilissimo, passando dalle sparate ‘quasi-punk’ (“Amusing Advisor For Unexperienced Explorers“) alle farciture core alla Pig Destroyer (“Endless“). Qua e là vaghi richiami ai primi Napalm Death, esplicitati verso la fine del cd con una cover.
Riassumendo e tirando le somme, di questo album avremmo tranquillamente fatto a meno. Il Grindcore offre ampi spazi anche a chi non sprizza originalità, ma allora si deve puntare sull’impatto: Have A Rest, Please è carente su entrambi i fronti. E’ la fredda prova di 5 buoni musicisti. Aspetto il prossimo lavoro confidando su una maturazione “al contrario”: un po’ più di grinta sarebbe stata sinceramente apprezzata.
Matteo Bovio