Recensione: Haven
Una tradizione che si rinnova quella dei Dark Tranquillity.
Dopo le precedenti
uscite, da “Skydancer” a “Projector”, con le quali questo
gruppo ha stupito l’audience europea e non solo, ora siamo tutti testimoni della
nascita di “Haven”. Lo sentiamo germogliare in modo impetuoso e rapido
nella nostra mente poichè questo disco è studio ed analisi, conoscenza,
melodia e disperazione umana. Non solo esperienza delle componenti umane e ricerca,
ma anche scoperta di nuovi suoni più artificiali e tecnologici, compensati
da toccanti sfumature di pianoforte. La band quindi resta a passo con i tempi,
dedicandosi con impegno a questo genere di arrangiamenti curati in particolare
da Martin Brandstrom e Christer Lundberg (nella prima traccia).
Validi esempi sono la prima e l’ultima traccia, ovvero The Wonders At Your
Feet e At Loss For Words, che effettivamente “racchiudono al
loro interno” quello che presenta un pò l’intero album. Un disco
molto più introspettivo e quindi più lento del solito perchè
favorevole alla riflessione individuale. Ne è prova non solo la musica,
ma anche il contenuto dei testi che l’accompagnano passo dopo passo. L’autore
di queste lyrics è Stanne. Non a caso..
Resta un punto comune all’interno di ogni disco registrato da questo gruppo,
l’abile e geniale singer Mikael Stanne che anche questa volta si conferma una
delle migliori voci all’interno del panorama death metal. Una potenza vocale
non indifferente caratterizza questo singer svedese il quale non disdegna di
registrare (nei lavori più recenti) voci pulite, che spesso ricordano
le malinconiche strofe dei Depeche Mode più pensierosi e tristi.
Certo i paragoni con i lavori precedenti potrebbero essere fonte di delusione
per qualcuno. In effetti “Haven”sembra più calcare con decisa
precisione le orme del penultimo album (Projector) piuttosto che la seppur atmosferica
violenza in velocità di The Gallery ad esempio. Scrivo tuttavia “una
tradizione che si rinnova” perchè è del risultato finale
che devo informarvi e sebbene queste ultime registrazioni risultino parecchio
differenti da quelle precedenti, il prodotto finale non nega energia e carattere,
impegno e quindi costanza.
Esiste qualcosa di più importante?
Tracklist:
1. the wonders at your feet
2. not built to last
3. indifferent suns
4. feast of burden
5. haven
6. the same
7. fabric
8. ego drama
9. rundown
10. emptier still
11. at loss for words