Recensione: Havets Vargar
L’ignoranza che ruota attorno ai Månegarm è davvero accecante. Eppure il peso che dovrebbero avere nella scena Viking e Black dovrebbe essere davvero di altra levatura, in quanto hanno tutte le carte in regola per diventare dei colossi per tecnica, mentalità e livello artistico. Del resto hanno una “scheda personale” con tutte le caratteristiche al punto giusto: nati nel 1995, quando il Viking moderno ha iniziato ad alzare la testa, provenienti dalla Svezia, una fucina interminabile di gruppi, si ispirano all’Edda, hanno un sound tenacemente pagano grazie al loro mix tra Folk e Black metal, sono molto legati alle proprie tradizioni (tanto che si rifiutano sia di cantare e sia di nominare i propri album in inglese) e hanno una casa come la Displeased alle spalle, in grado di garantirgli una distribuzione mondiale.
Dov’è il collo di bottiglia, dunque? Perché appena si esce dai confini del Viking, i Månegarm sono dei perfetti sconosciuti? Conosco solo un’altra band che in due album ha avuto lo stesso excursus “linguistico”, i Finntroll. Anche loro cantano e titolano tutto in svedese, ed entrambe le band intendono seguire questa strada anche in questo 2002, quando, pubblicheranno il loro terzo lavoro interamente in svedese (Visor om Slutet per i Finntroll e Dödsfard per i Månegarm). Eppure la fama dei Finntroll supera di gran lunga quella dei Månegarm, vuoi perché è un tipo di musica leggermente più abbordabile e vuoi perché non hanno la famosa “lettera strana” nel nome che da sola può bastare per allontanare gli avventori casuali (sembra un discorso incredibile ma putroppo ho avuto modo di assistere personalmente a uno scempio simile).
Chi conosce i Månegarm concorda nel definirli band musicalmente di prim’ordine: il loro black affonda le proprie radici nel black metal scandinavo più furioso e violento, tanto da sconfinare più di una volta in sonorità thrash o addirittura grindcore grazie alle batterie travolgenti e ossessionanti e alle chitarre serratissime, finché l’atmosfera non si satura e catarticamente si avvolge su se stessa abbandonandosi a melodie folk di violini, chitarre classiche, flauti e altri elementi della tradizione viking, senza però abbandonare la struttura ritmica incalzante del black. Sono un grande appassionato di metal veloce, dal sound pienissimo, che pensa poco e lavora moltissimo, fino a riempire le orecchie. Ecco perché questi Månegarm mi ricordano dei Finntroll meno melodici e più folk, pur essendo decisamente più duri. Sembrano tutti controsensi, ed è difficile comunicare l’essenza di questo album, che insieme può ricordare Carcass e Otyg, Isvind e Finntroll. Potrebbe anche sembrare una pastoia dove diversi elementi di metal vengono gettati insieme alla rinfusa, e invece in questo Havets Vargar l’incantesimo dell’equilibrio riesce perfettamente, in maniera molto più definita del loro precedente lavoro, Nordstjärnans Tidsålder.
Addirittura nella splendida title track, Havets Vargar (=lupi di mare), la prima del CD, assistiamo a un esperimento decisamente azzardato per questo genere, ovvero l’inserimento di una voce femminile (tale Ymer) dalla lamentosità quasi gotica più che tipicamente folk alla Cia Hedmark (Otyg). E invece la canzone stride sotto questa voce, quasi sembra decomporsi all’incalzare dello screaming selvaggio che la aggredisce da ogni angolo, e invece grazie alla portentosa struttura musicale di tutto l’album, riesce ad esaltarsi senza essere snaturata. Simili diversioni lasciano spazio a pezzi più introversi, strumentali come Fädernes jord, o la tanto acclamanta Trädatanke (Fader Tids död).
L’album è tutto un crescendo fino a quella che io considero la gemma di tutta la loro produzione, Vargtörne, una canzone che deve essere ascoltata per la grande violenza e il modo in cui si snoda attraverso i minuti, iniziando come una cavalcata selvaggia e muggente, e morendo come una bella canzone folk circondata di ululati di lupi e di ruggire di onde marine. Già, anche la parte descrittiva (prettamente legata ai rumori di sottofondo) è ben articolata, grazie a rumori anche insoliti (come il sospetto “verso” a metà di Fylgians dans”), e questa è una caratteristica molto importante di un genere come il Viking Metal. Veniamo ora alle note dolenti: nonostante sia un album a tutti gli effetti bellissimo, pecca di una certa ridondanza nelle canzoni, che spostano il proprio peso da un black molto classico a un folk altrettanto classico; questa caratteristica fa sì che, specialmente da Vanvett in poi, le tracce tendano a diventare abbastanza simili l’un l’altra, e non pienamente discernibili: questo è un problema che affligge spesso le produzioni black più spinte, anche se si parla puramente di prime sensazioni: in realtà basta una manciata di ascolti in più per fruire appieno della indipendenza di ogni canzone, che può avere numerosi appigli, come un rallentamento folk, un rumore inatteso o una sviolinata selvaggia e femminile come nella diabolica Vinternattskväde.
La veste grafica del CD purtroppo non è il massimo: sebbene la copertina sia realizzata da un eccellente Verwimp (è una delle mie copertine preferite in assoluto), il layout del libretto è abbastanza scialbo, e in generale la produzione manca di quell’eleganza stranamente presente nel loro precedente Nordstjärnans Tidsålder
Che dire, consiglio a tutti coloro che hanno voglia di viking pienissimo, tortuoso, violento e drammatico di comprarsi questo CD a occhi chiusi: l’equilibrio tra Black e Folk è in continua oscillazione di canzone in canzone, e noto con grande piacere che anche senza essere per forza epico, il viking può giocare carte sorprendenti, concretizzate da questa band dall’attitudine decisamente positiva alla quale auguro la fama che gli spetta di diritto.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
Tracklist:
- Havets Vargar
- Trädatanke (Fader Tids Död)
- Gryningstimma
- En Del Av Allt Som Blivit Glömt…
- Fädernes Jord
- Vargtörne
- Vanvett
- Spjutsång
- Ett Gammalt Bergtroll
- Fylgians Dans
- Den Sista Striden
- Vinternattskväde