Recensione: Heading Northe
E’ innegabile che il trend del metal di questi tempi sia ammodernare. C’è chi avversa questo cambiamento, chi invece lo acclama a gran voce, adducendo che per mantenere vivo il seme metallico c’è bisogno di rinfrescare i vecchi clichè e svecchiare sound troppo grezzi.
La maggior parte delle band d’oggigiorno ha optato per dei mutamenti a volte radicali, a volte marginali, aiutati in questo senso dallo sviluppo della tecnologia di registrazione.
Ma in questo marasma generale, c’è una band che sembra esser stata ibernata negli anni ’80 e scongelata qualche lustro dopo: i teutonici Stormwarrior.
Per festeggiare il decimo anniversario e il passaggio alla nuova etichetta, i nostri piazzano questo “Heading Northe”, la cui recensione potrebbe essere riassunta in poche parole, e cioè una flebo di principio attivo di speed-power diluita in soluzione fisiologica di doppia cassa e liriche vichinghe. Ma siccome non devo trattare di un farmaco, vediamo più in profondità il disco in questione.
Innanzitutto è doveroso segnalare l’entrata di Yenz Leonhardt (Iron Savior, Savage Circus) molto proficua al sound della band (come anche il frontman Lars racconta nell’intervista), e come detto in precedenza, l’abbandono della produzione “made in Kai Hansen”, che comunque era stata di tutto rispetto, ma che non regge il paragone con l’esperienza di Tommy Hansen al mastering e Piet Sielck alla consolle. Le differenze coi precedenti album si evidenzia in un sound meno grezzo e più tagliente, il basso finalmente si eleva in full-treble a volumi decenti, mentre il resto rimane invariato. Il songwriting continua l’opera di distaccamento dagli standard di “Walls of jericho” (intento già visibile nel precedente “Northern rage”) per avvicinarsi a quello dei Running Wild dell’epoca del cumulo di teschi e della locanda della “Mano Nera”, rimanendo comunque ben ancorato alla tradizione hanseniana.
Ma veniamo alle tracce. Chi ben conosce gli Stormwarrior saprà che il prodotto da loro confezionato è esente da ballad, lenti o chicchessia, e anche in questo “Heading Northe” non c’è da aspettarsi che una cascata di metallo fuso, introdotta dalla solita, atmosferica, intro “And the Horde calleth for Oden”, seguita subito dalla title-track che, nemmeno a dirlo, ha la capacità di far scapocciare senza nemmeno accorgersene. E’ intuibile la ricerca di una maggiore epicità nelle strutture dei brani, non più la solita furia di scale suonate alla velocità della luce, ma cadenzati riff incastrati in linee vocali più pompose, e questo si capisce già dal chorus:
We’re heading northe, heading home
Where the northern son was borne
And the northewinde fills my hearte again
Withe the flame that miss’d so longe
We’re heading northe, heading home
To the shores where we belonge
Njörð’s daughters take me home again
To the ones we’ve left alone
We’re heading northe
Ma niente paura, nessuno stravolgimento, basta ascoltare la sezione assoli per capire che i guerrieri qui presenti non hanno nessuna intenzione di risparmiarci! Si continua con “Metal legacy”, e la marcia dei teutonici non si arresta. Chitarre in primissimo piano, riff taglienti e poderosi, basso incalzante, assoli stupendi in un vero e proprio inno alla musica. Sembra che già ad inizio album i nostri abbiano sparato le cartucce (pardon, le asce) migliori, e invece… Cavalli al galoppo, riff epico fino al midollo, e via con la miglior canzone del platter: “Holy cross”. D’altronde, a pensarci, è forse proprio questa la genialità degli Stormwarrior; ricordo ancora le critiche al loro primo disco, persone che sostenevano che i tedeschi erano destinati all’oblìo avendo messo in un solo disco tutte le proprie migliori idee. A distruggere (è il caso di dirlo) queste parole, arrivò poco tempo dopo “Northern rage”, e le critiche favorevoli si moltiplicarono, ma c’era ancora chi sosteneva che prima o poi la verve si sarebbe esaurita. Ebbene, posso fermamente sostenere che ancora una volta, pur riconoscendo la loro poca originalità, questi giovani son stati capaci di incidere un disco senza sosta, senza pietà, evitando di ricadere nel plagio o peggio ancora nell’autoplagio. Dicevo di “Holy cross”, un brano esasperatamente epico su cui sfido chiunque a tenere ferme le vertebre cervicali. Tutto è perfetto, le strofe, il chorus fastosamente eroico, gli assoli, l’intermezzo parlato… Ascoltare per credere. Segue poi “Iron gods”, ancora una volta un riffing assassino introduce un brano che sembra essere pescato dagli eighties e ammodernato per l’occasione; doppia cassa praticamente ininterrotta, chorus ancora una volta solenne, esplosioni qua e là. E se nello scorso dischetto gli Stormwarrior avevano cantato le avventure degli eroi che risiedono nel Paradiso, potevano esimersi dal raccontare il seguito? E quindi, dopo “Valhalla”, ecco “Ragnarök”, ennesimo sfoggio di perfetta attitudine speed-metal che incornicia la leggendaria battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle della tenebra e del caos. Segue la cadenzata “The Revenge of Asa Lande”, dove i nostri si provano a incidere una mid-tempo, per altro con discreto successo. Niente di particolare da evidenziare, a parte un certo sollievo per i timpani dopo l’infuriare dei precedenti brani. Mi sembra di vederli gli Stormwarrior, suonare un pezzo più lento, e poi sputarci in faccia “Remember the Oathe”, pezzo velocissimo e pomposo al punto giusto, con la sezione di assoli forse migliore dell’intero disco. “Lion of the Northe” è un pezzo strano, inizia con una chitarra acustica molto evocativa, e il pensiero di un’altra mid-tempo si fa vivo giusto il tempo di farci colpire improvvisamente da un riff veloce e maligno che ci introduce nella canzone vera e propria. Nota di merito per la lunga sezione assoli, suonata in modo precisissimo. E arriviamo dunque al finale, con “Into the battle” e la successiva outro “And the Valkyries ride”. Dico la verità, nei precedenti due dischi gli Stormwarrior ci avevano abituati al classico pezzo finale lungo ed epico (“Chains of slavery” con la partecipazione di Kai Hansen, e successivamente “Lindisfarne”), e qui invece abbiamo un brano decisamente anonimo che scivola via verso l’outro molto passivamente. Rimane l’amaro in bocca, non voglio nasconderlo. Però, prendendo il disco nella sua interezza, è solo una piccola nota negativa.
Se credete che i primi due album degli Stormwarrior fossero perfettamente rudi ed epici, non avete ancora ascoltato nulla. Quarantacinque minuti e passa di metallo infuso nelle vene, molto derivativo, è inutile negarlo, e di certo non un monumento all’innovazione, ma sarebbe eresia aspettarsi una cosa del genere dai teutonici guerrieri. Per chi ha voglia di farsi una sana scapocciata, per chi adora la mitologia nordica, per gli appassionati del metal nudo e crudo, grezzo e anche un po’ ignorante, “Heading Northe” è un acquisto obbligato. Vadano sul sicuro i fan di vecchia data, i nostalgici degli eighties e soprattutto del capolavoro “Walls of Jericho”. Fidatevi, i muscoli del collo ondeggeranno, le dita cominceranno a ticchettare a ritmo, e nemmeno ve ne accorgerete.
La battaglia è finita, i nemici sono sconfitti. Non resta che appendere l’ascia al chiodo, in attesa del futuro richiamo delle Valchirie e del Vento del Nord.
Tracklist:
01. And the Horde Calleth for Oden
02. Heading Northe
03. Metal Legacy
04. The Holy Cross
05. Iron Gods
06. Ragnarök
07. The Revenge of Asa Lande
08. Remember the Oathe
09. Lion of the Northe
10. Into the Battle
11. And the Valkyries Ride
Luca “NikeBoyZ” Palmieri