Recensione: Headless Cross
Listen for the feet as they pound the land to a tune of thunder
Watch as the legions ride again to a fate of death or torture
At the Headless Cross, at the Headless Cross
Black Sabbath – Headless Cross( 1989 )
L’ oltre trentennale carriera dei Black Sabbath è stata costellata da diversi momenti, più o meno felici, più o meno fecondi, che ne hanno, nel corso degli anni, condizionato l’ispirazione e, conseguentemente, la qualità delle composizioni musicali. Il periodo d’esordio è stato senza dubbio il più florido per la band, che riuscì nel breve arco di tre anni, a dare vita ad una serie di 5 albums che sono tutt’ora ricordati come pietre miliari dell’Hard Rock che aprirono le porte a sonorità Heavy Metal fecendo da battistrada per tutte o quasi le band a venire. Come non dare credito inoltre, quando si parla di periodo florido per i Sabs, al periodo 80-82, che vide l’ingresso nella band di uno dei singer monumentali della storia dell’ Heavy come Ronnie James Dio, il cui passaggio è stato evidenziato dal masterpiece assoluto “Heaven And Hell”.
Forse a partire dalla metà degli Eighties, in un certo senso, la band ha vissuto il primo periodo di appannamento della sua carriera, culminato con la dipartita del bassista storico e trascinatore indiscusso, Geezer Butler, che inesorabilmente aveva tolto moltissimo alla band sotto il punto di vista dell’ ecletticità, dell’ ispirazione ed a livello squisitamente tecnico, dal momento che le qualità del bass player inglese erano indiscutibilmente eccellenti. Questo grigio trend, durato per almeno 3 anni, fu bruscamente interrotto dall’ arrivo nella band inglese del singer Tony Martin, avvenuto nel 1987, poco prima dell’ uscita del primo platter nato da questa collaborazione: “The Eternal Idol”, disco discreto ma che, a conti fatti, non rese possibile ai Sabbath di fare quel salto di qualità che mancava dai tempi di “Mob Rules”. La svolta reale al sound dei Black Sabbath si ebbe due anni dopo, con il rilascio di “Headless Cross”. A questo disco, attesissimo dalla critica e indicato ( giustamente ) come il disco del rilancio, sono legate una serie di curiosità e di aneddoti che vanno ad onor di cronaca menzionati e che lo rendono ancora più intrigante e godibile dall’ ascoltatore. Per cominciare, iniziamo dalla composizione della tracklist: al pezzo chiamato “Call Of The Wild” era inizialmente stato dato nome “Hero”, ma esigenze discografiche dovettero convertirlo nell’ attuale. In particolare, il disco solista di Ozzy Osbourne, rilasciato nel 1988, quindi un anno prima, dal titolo “No Rest For The Wicked”, possedeva già un altro brano con lo stesso titolo, dunque Iommi, per evitare problemi diplomatici, scelse di cambiar nome al suo pezzo.
Ancora, sempre parlando della tracklist, al numero cinque del platter, per alcuni fortunati, figurerà un pezzo chiamato “Cloak & Dagger”, facente parte a principio nel singolo “Headless Cross”, ma che la band decise di pubblicare poi in una versione chiamata “Picture Disc”, in cui il pezzo risulta integrato nella tracklist vera e propria di “Headless Cross”. Infine anche a “Black Moon” è legato un aneddoto interessante: infatti essa fu pubblicata due anni prima nel singolo di “The Shining” e poi ri-registrata per il disco seguente. Parliamo invece un po’ della line up della band:
Tony Iommi – Guitars
Tony Martin – Vocals
Cozy Powell – Drums
Laurence Cottle – Bass
Geoff Nicholls – Keyboards
Come leggerete poco sopra, al basso figura ufficialmente Laurence Cottle. Effettivamente però Laurence curò solo la parte in studio del disco, perché non partecipò mai al tour di presentazione che la band organizzò dopo l’uscita del lavoro, bensì avrà il supporto di Neil Murray, che sarà poi bassista ufficiale della band per il successivo album, “Tyr”.
Le curiosità non terminano qui, poiché il disco fa registrare una simpatica particolarità anche in ambito editoriale, infatti a partire dal Luglio del 1999 “Headless Cross”, edito dalla IRS, non fu più disponibile. Inspiegabilmente ( o forse no? ) nel Settembre dello stesso anno, ne uscì una versione speculare in tutto e per tutto alla precedente, curata però dalla EMI. Dopo questa serie di eventi interessanti, passiamo a parlare del disco vero e proprio e delle sue caratteristiche prettamente musicali ed artistiche.
Registrato nei Soundmill, Woodcray e Amazon Studios nel Novembre del 1988, sotto la supervisione di Sean Lynch ( che ne curò interamente il mixaggio ), il platter di “Headless Cross” consta di nove pezzi molto, molto interessanti. Andiamo ad analizzarne i principali e più significativi. La breve e ottima intro, “The Gates Of Hell”, attraverso atmosfere cupe e angosciose ed ambientazioni al fulmicotone, ci lancia dritti dritti all’ interno della title track, vera e propria gemma di questo disco, in onore della quale la band produrrà anche una clip musicale. Introdotto da geniale riff del sempre ispiratissimo Tony Iommi, il pezzo ci guidi in 6 minuti e 29 secondi di Heavy Metal senza inibizioni. La voce di Tony Martin, che in vero non mi ha mai appassionato troppo, riesce qui ad essere sufficientemente incisiva ed ad evitare di farsi risucchiare dagli altri strumenti, in special modo dalla maestosa chitarra di Iommi. Refrain ottimo e riffs perfetti, ecco la ricetta di “Headless Cross”, un pezzo che volando ad ali spiegate nei cieli del Metallo ci guida, fra un acuto e l’altro, in un brano che lascia letteralmente a bocca aperta per genialità ed atipicità.
Sopra la media è certamente la traccia numero tre del platter, “Devil & Daughter”, che si fa notare specialmente per la performance di Cozy Powell dietro le pelli e naturalmente per la grandezza di Tony Iommi, per il quale le parole sono deleterie: ascoltare la sua musica rende sicuramente molto meglio l’idea che non le parole che vi sto scrivendo io in questo momento. Segue a ruota la bellissima “When Death Calls”, interessante specialmente perché il solo di chitarra non è curato da Iommi, bensì da Brian May. Pezzo comunque che si attesta su livelli certamente discreti, sebbene qualcosa dovesse essere perfezionata specie per quello che riguarda il basso, che è qui quasi totalmente assente. Questo è un pezzo che io mi permetto di ridefinire “camaleontico”, un brano che possiede sia la potenza che la passionalità di una ballad, una semi ballad quindi, ma non per questo poco espressivo o emotivamente rilevante. Avrebbe dunque guadagnato molto a livello di emozioni trasmesse, se accompagnato da un basso maggiormente in evidenza.
La seguente ( per chi possiede la versione in Picture Disc ) è “Cloak & Dagger” un pezzo abbastanza interessante, storpiato forse un po’ da un refrain banale e ripetitivo, cantato inoltre in maniera non irreprensibile da Martin. La parte finale del disco non rende però onore alle prime quattro-cinque composizioni, fatta eccezione per la più che buona “Black Moon”, in quanto caratterizzata da song decisamente sotto tono e inespressive, che non consentono ad “Headless Cross” di entrare di diritto fra i migliori 4-5 album dei Sabs. Un vero peccato perché la “materia prima” era presente senza dubbio e i tempi erano maturi per un altro grande capolavoro. “Headless Cross” rimane nel compresso un disco molto buono, condito però con diverse cose da rivedere, come ad esempio la voce di Martin, che molte, anzi troppe volte, ha fatto perdere mordente ad alcuni pezzi che in realtà sarebbero stati interessanti. Se si fa eccezione per l’ ispiratissimo “Dehumanizer”, questo lavoro è sicuramente il migliore che i Black Sabbath abbiano concepito, dagli anni Ottanta ad oggi, dunque il livello artistico-compositivo è comunque di livello relativamente elevato, sebbene, ripeto, la scintilla non scocchi mai, almeno nei nostalgici dei Black Sabbath come me.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
1. The Gates Of Hell
2. Headless Cross
3. Devil & Daughter
4. When Death Calls
5. Cloak & Dagger
6. Kill In The Spirit World
7. Call Of The Wild
8. Black Moon
9. Nightwing