Recensione: Headroom of Conscience
Quando ho visto scritto sul foglio illustrativo al promo che il genere suonato da questi Coma Star era l’hard rock, mi si sono davvero illuminati gli occhi, pensando subito bene. Embè sono rimasto alquanto deluso, perchè ci credevo davvero in un ritorno al passato. Invece mi sono trovato qualcosa di diverso, ovvero un rock ma neppure lontanamente paragonabile al sano vecchio rock, anzi. Il terzetto svizzero, composto da Emmi (voce e basso),
Jan (Chitarra e backing vocals) e Christian Werr (batteria), dicevo il terzetto svizzero, nato come gruppo all’inizio del 2000, ci propone un suono decisamente ruvido e volendo anche grezzo nelle sue parti principali. Secondo quanto detto dal batterista Werr sound Coma Star si ispira e rassomiglia fortemente a quello degli U2 su “Jack Daniels”. Che sia ispirato può anche darsi, che sia fatto col cuore non lo nego, ma sul fatto che i due lavori possano essere accostati, o addirittura paragonati, niente a che vedere. Anzi mi sembra in qualche song di sentire il classico rock moderno di fine anni ’90 inizio 2000, di artisti che non mi va di nominare.
Tecnicamente questo “Headroom for Conscience” è solo sufficente, basato su riff bassi, molto sporchi ma aggressivi, c’è un discreto basso lungo tutta la composizione, che diventa buono, ma nulla più, in alcuni frangenti. La voce di Emmi è abbastanza melanconica, diciamo intonata, ma non sempre ci azzecca coi vari passaggi musicali del disco (o forse è il contrario).
Le dieci canzoni, tutte piuttosto brevi, vedono come opener “Painkiller”, che non è la cover dei Judas, ma un’altra song, che inizia subito con una chitarra di sottofondo dai discreti riff, ruvidi quanto basta, ma che praticamente si ripetono all’infinito, causando un pò di monotonia. Suonata discretamente la batteria in questa mid tempo che mi verrebbe da dire rocciosa, se non fosse che mi fa venire l’acido lattico nei muscoli, per come è cantata. Stesso copione per “Everything”, che senonaltro è decisamente più baldanzosa e sentita, un pò più piacevole da sentire a livello di cantato, anche se a livello musicale non mi piace molto, troppo sporchi i suoni strumentali, sembra quasi ci siano delle interferenze in un segnale radiofonico. Il refrain carica abbastanza . Buon inizio bassistico, che si mantiene per tutto il brano, per “Suicide Man”, purtroppo però chitarra e voce non sono all’altezza e contribuiscono, nonostante l’enfasi, alla grande piattezza e pesantezza della song. Non malaccio il coretto fatto dalle 2 voci unite nel ritornello.
La prima song nel complesso discreta del disco è la quarta, ovvero “Give Yourself Away”, pulita nelle strofe, dalla discreta melodia di base, non troppo pompata, sebbene quando si ritorna al tema strumentale delle
canzoni precedenti, il livello si abbassa decisamente. Cantante intonato, questo va ammesso. Inquieto l’inizio di “Don’t Fit”, song dove praticamente il basso domina sul resto della strumentazione, almeno all’inzio, ma senza grande coinvolgimento, anche perchè la composizione lascia alquanto a desiderare. Sufficente “Digging”, che parte subito ruvida, senza tanti fronzoli, decisa, anche se la voce non esalta per nulla. Buono il ritmo impresso alla song, anche se il ritornello non è niente di che. Stesso discorso più o meno si potrebbe fare per “Take me Over”, con la differenza che la song è un poco più lenta della precedente, è leggermente più melodica, con la voce inserita meglio all’interno del suonato. Però non è che sia questa canzone memorabile, diciamo che si salva parzialmente dalla mediocrità generale. Le cose sembrano partire con “Behind” che si apre con un ottimo motivetto di apertura, l’ennesima discreta prova bassistica del leader della band Emmi, peccato il motivetto iniziale sia solo un fuoco di paglia, perchè il seguito della canzone è stato pensato bene a livello di traccia, ma non è suonato all’altezza della situazione, un peccato perchè l’idea di base non era male. Velocissima e abbastanza distorta “Suffocated”, meno male che è velocissima, perchè così ci permette di sorvolare
sulla qualità pessima della song e passare direttamente all’ultima “Forgot How to Win”, leggermente migliore della media del disco (anche se non ci voleva questa gran scienza), abbastanza docile e ispirata, anche quando si “pompa” con gli strumenti, non cantata benissimo, ma perlomeno con voglia.
E’ finita qui. Mi spiace un pò per questi “Coma Star”, perchè onestamente sembra credano in quello che suonino, peccato che lo facciano in maniera ancora abbastanza lacunosa, e questo disco, purtroppo nettamente insufficente, ne è la prova. Sarà che io sono stato abituato a molto meglio musicalmente parlando, ma definirsi Hard Rock e presentarsi in questo modo, per chi ascolta e ha conosciuto il vero hard rock è una vera fitta al cuore. Non lo definirei nemmeno Hard Rock, perlomeno nel senso classico, mi spiace, ma c’è davvero molto su cui ancora lavorare
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Painkiller
2) Everything
3) Suicide Man
4) Give Yourself Away
5) Don’t fit
6) Diggin’
7) Take me Over
8) Behind
9) Suffocated
10) Forgot How to Win