Recensione: Heartworm [EP]
Dementia Senex: un volto semi-nuovo che si ri-affaccia sulle scene a distanza di quattro anni dal primo EP “Sun Goes Down Behind”, dopo una collezione di live che ha reso alla band cesenate una buona visibilità in ambiti underground al fianco di band quali Ulcerate, Fleshgod Apocalypse, Putridity, Hideous Divinity. Che cosa avranno da dirci con i tre brani di “Heartworm”? Bastano pochi ascolti che il mistero è risolto: ricerca ed esperimenti senza catalogazioni. In questa direzione si muove il combo, e lo fa proponendo un mix di death metal, post-hardcore e doom, che si fondono tra loro con abile mano in fase compositiva, tale da non risultare né scontato e prevedibile, né tantomeno ostico. I brani non si dimostrano banali in alcun settore: le chitarre di Merloni e Righetti occupano un ruolo preponderante nell’economia globale. S’incastrano, si sovrappongono e si distaccano con disinvoltura ed eleganza, lasciando echi atonali e riff penetranti che innalzano il valore delle composizioni. In questa direzione le ritmiche di Cucchi e Bagnolini rendono giustizia alle due asce, lavorando in sincronia e metricamente sulla stessa lunghezza d’onda, il cui risultato finale è interessante e allo stesso tempo misterioso.
Il quasi-doom introduttivo di “Unscented Walls” è pura illusione, il tempo di scaldare i motori e si parte su ritmiche martellanti che portano all’evocazione «Reassuring And Frightening Like Unscented walls, Insuperable Like The Line I Draw On My Way, A Cage Whose Bars Are My Own Flesh, I Keep On Bleeding, I’m Filling The Void». Le sezioni si susseguono minacciose ma coerenti allo stile cercato dai Nostri, che in “Kairos” cambiano completamente prospettiva, toccando sentieri *-core sui quali le chitarre sfoderano riffing a pennello per dissiparsi in uno stop improvviso che dà il via al terzo e ultimo episodio, la title-track “Heartworm”, il cui arpeggio iniziale sfocia in un tempo dispari sul quale si innesta la rabbia di Franchini. Neanche il tempo di metabolizzare che si cambia atmosfera, prima passando per una veloce sezione e poi per uno slow-tempo, giusta ricompensa dopo una cavalcata del genere con Franchini che saluta con un evocativo «no return», mentre le chitarre si susseguono in un ottimo background, per chiudere con una sequenza di accordi dissonanti che lascia un retrogusto dal sapore intrigante.
Decisamente positivo il discorso intrapreso dai Dementia Senex, che escono dai canoni per esplorare nuovi ambiti, e questo è un gran pregio, che vorrei si ampliasse e proseguisse nella direzione giusta verso il primo full-length. Se la band sarà capace di essere fedele al suo stile si rivelerà tra le più interessanti realtà del metallo, in patria e non solo.
P.S. Un solo appunto in fase di produzione. A mio avviso il rullante a volte si perde dietro le chitarre e non è molto chiaro a livello timbrico, ma nonostante questo il discorso musicale non è compromesso.
Vittorio “Dark Side” Sabelli
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