Recensione: Heathen Cross

Di Stefano Ricetti - 18 Giugno 2024 - 8:39
Heathen Cross
Band: Cloven Hoof
Etichetta: High Roller Records
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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77

Nel 1982, successivamente all’uscita dell’Ep The Opening Ritual, ero convinto che i Cloven Hoof potessero perseguire, o quantomeno avvicinarsi, nel tempo, sebbene in leggero ritardo, all’onda del successo scaturito dai big three, ossia Saxon, Iron Maiden e Def Leppard, con questi ultimi ragionevolmente nel novero, in quanto in quel momento ancora fortemente ancorati alla Nwobhm, dal momento che le sirene americane giunsero solamente l’anno dopo, con Pyromania.

Così come per i Mythra precedentemente, per lo scriba la più grande speranza infranta del British Steel dei primi anni Ottanta, anche per il complesso di Lee Payne le cose andarono un po’ diversamente. Troppi cambi di formazione e poca continuità, in un momento clou come quello, hanno impedito agli Hoof di spiccare per davvero il volo. Due anni di distanza dall’Ep d’esordio erano davvero un tempo irragionevole, nel 1984, quando uscì l’album di debutto omonimo, per poter competere con l’agguerrita concorrenza del periodo, nonostante un cantante di razza dall’ugola epica come David Potter.

La famelicità dei fan della Nwobhm era proverbiale e le nuove uscite si susseguivano una dopo l’altra spostando inevitabilmente gli indici di gradimento delle masse. Bisognava essere sul pezzo per davvero e i Cloven Hoof probabilmente pagarono dazio. Ciononostante sfornarono album di livello e, in tempi di Nwobhm ormai morta e sepolta – per lo meno a livello di spinta d’urto, beninteso – piazzarono un discone quale A Sultan’s Ransom nel 1989, con alla voce un incontenibile Russ North.

Di questo e altro si è parlato su queste stesse pagine truemetallare nell’intervista allo stesso Lee Payne nel 2005, qui il link.

Dalle nostre parti i britannici si esibirono dal vivo una sola volta, più specificamente il 23 febbraio del 2008 all’interno della seconda edizione del Play It Loud Festival, presso il Buddha di Orzinuovi (BS). Qui il live report di quella notte. La kermesse ricomprendeva anche Berserker, Alltheniko, Frozen Tears, Tarchon Fist, Adramelch, Elixir, Sabotage, Steel Assassin, Helstar, Manilla Road.

E veniamo al 2024, anno di uscita del loro ultimo album, il decimo della loro lunga sebbene non continuativa carriera, intitolato Heathen Cross, sotto High Roller Records. Nella sua versione in Cd, oggetto della recensione – è stato pubblicato anche in vinile, musicassetta e in digitale – si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi, le note tecniche di rito e una foto della band al completo nelle due finali.

La formazione schiera, accanto all’onnipresente bassista Lee Payne – l’unico della line-up originale rimasto, ormai da secoli -, il cantante Harry “The Tyrant” Conklin, preso in prestito senza diritto di riscatto dai Jag PanzerChris Coss e Luke Hatton alle chitarre, Ash Baker alla batteria e Chris Dando alle tastiere.

Dopo l’intro “Benediction”, che riporta naturalmente all’epica e al misticismo che avvolgeva i Cloven Hoof agli inizi della loro traiettoria, a partire dalla successiva “Redeemer” ci si immerge in un classico heavy fucking metal senza se e senza ma caratterizzato giocoforza dalla catalizzante voce di The Tyrant. Croce e delizia se abbinata al gruppo delle Midlands.

Mi spiego meglio: per i die hard fan di Payne & Co. può risultare davvero ostico dover associare il timbro e l’interpretazione di Conklin a una fra le band di culto della Nwobhm, che pare quasi snaturata nella sua essenza dall’avvento del cantante americano. Inevitabilmente l’intero lavoro assume un taglio e un tiro yankee che ne depotenzia la radice british. Completamente diverso l’approccio degli ultras dei Jag Panzer, che scopriranno dentro Heathen Cross una scintillante prova da parte del loro singer preferito.

Premesso quanto sopra, il nuovo Cloven Hoof dà il meglio di sé se liberato dai pregiudizi e dalle chiusure mentali, basta semplicemente porsi all’ascolto approcciando la musica che arriva privi di dietrologia. E le mazzate sgorgano che è un piacere, consegnando alla storia uno degli album più quadrati del complesso originario di Wolverhampton, da annoverarsi fra le uscite maggiormente solide, massicce e credibili in ambito tradizionalista di questo 2024.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

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