Recensione: Heaven And Earth

Di Tiziano Marasco - 18 Luglio 2014 - 11:34
Heaven And Earth
Band: Yes
Etichetta:
Genere:
Anno: 2014
Nazione:
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70

Diciamolo chiaro e netto. Fly from here, ultimo disco degli Yes, uscito tre anni orsono, è stata tra le sorprese discografiche più sconvolgenti degli ultimi 10 anni. Mai ci si sarebbe potuto aspettare un disco così fresco, ben costruito, con una suite strappa applausi. Un autentica meraviglia che rilanciava splendidamente un gruppo di musicisti sessantanni che sembravano avviati verso il ritiro, dopo un comunque dignitosissimo viale del tramonto che era stato intrapreso già negli anni ottanta. Il fatto che la suite di cui sopra fosse stata concepita ai tempi di Drama, ad ogni modo, non poteva sminuire il lavoro di produzione volto allo svecchiamento (non già allo snaturamento) di tale composizione. Proprio in virtù di tale lavoro infatti la title track di Fly from here si inseriva grandiosamente nel resto dell’album, sembrando per di più composta davvero nel 2011. Un album che, peraltro, da più parti era stato indicato come uno dei dischi dell’anno, alla faccia di certi ridicoli come back di mostri sacri che tentano di far cassetta dopo dieci anni di silenzio.

Appena tre anni dopo i padri del prog ci riprovano, e questa volta con un disco di inediti scritti here & now. La formazione, diciamolo subito, ha subito un nuovo cambiamento. Al di la degli imperituri Howe e Squire, supportati da Alan White e Geoff Downes (dunque formazione “Dramatica” per 4/5) si aggiunge Jon Davison nel ruolo di controfigura di Jon Anderson. Anche il nuovo arrivato infatti è dotato di uno stile vocale molto prossimo a quello del singer storico, esattamente come il dimissionario David Benoit. La differenza tra il nuovo innesto ed il canadese tuttavia è profonda, giacché Davison non viene da una cover band ma è, al contrario titolare di vari progetti propri.

Un elemento che assai giova a questo nuovo Heaven and Earth, alla stesura del quale il nuovo singer non ha contribuito in modo semplicemente attivo, ma addirittura fondamentale. Davison infatti ha preso parte alla scrittura di sette tracce su otto, e scusate se è poco.

Yessound stravolto? No, alla fine è fuori discussione che la band qui presente ha scritto Close to the edge, Union e The Ladder. Questo nuovo disco si pone in scia diretta con Fly from here, caratterizzandosi per la produzione nitida e la assoluta assenza di fronzoli e tecnicismi propri degli Yes fino a Magnification (escludendo la conclusiva Subway walls, quasi una jam session). Ne consegue un orientamento estremamente pop, con pezzi di minutaggio esteso eppure di effetto immediato. Brani leggeri, piacevoli e di buona fattura, che privilegiano il raffinato gusto melodico per cui gli Yes sono ben noti dai tempi di Time and a Word.

Dimenticate dunque i lunghi intervalli strumentali ed anche i fastidiosi (stando ai detrattori) acuti di Anderson, poiché qui Davison è autore di una prova sobria e senza forzature, che esalta ritornelli semplici ma di facile effetto. Su tutte le canzoni risulta impossibile resistere alle backing vocals di Game o alla malinconica Ascend, praticamente un incrocio tra Onward ed And You and I, fino ad arrivare all’ottima, beatlesissima In a World of our Own (che pure al primo ascolto mi era parsa un’unghiata alla lavagna). Elogiare il resto della band pare lapalissiano, data la loro carriera quarantennale, pur tuttavia non si può negare che Howe porti per mano la band lungo tutta la seconda metà del disco. E pensare che manca la caratteristica traccia breve di chitarra acustica. Oltre a ciò, una menzione va fatta anche alle tastiere di Downes in Step Beyond.

Heaven and Earth non rappresenta certo un cambio di pelle per gli inglesi e resta ben lontano dalla produzione settantiana del gruppo. Ci mancherebbe, quei dischi hanno fatto la storia della musica. Pure si rivela un prodotto godibile e di ottima fattura, ma anche questo risulta piuttosto scontato data la gente coinvolta. Quello che veramente conta, per questo album, è la freschezza, siccome il fatto che non si tratti di un prodotto dedicato esclusivamente agli yesmen, se così possiamo chiamare i fan del quintetto. A differenza dei dischi novantiani, Keys to Asenscion e The Ladder, Heaven and Earth risulta infatti privo di eccessivi tecnicismi e delle asperità tipiche del cantato Andersoniano, esattamente come Fly from here. Dunque un prodotto che si distingue e per freschezza e per accessibilità, senza però risultare ruffiano né tantomeno scontato. Incredibile ma vero, verrebbe da dire, l’ennesimo gradito ritorno degli Yes. Il “sì” suona ancora, direbbe il sommo poeta.

Tiziano Vlkodlak Marasco

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