Recensione: Heaven or Hollywood [Reissue]
La Minotauro Records, al solito in una confezione arrapante, fa uscire la ristampa di Heaven or Hollywood degli Uncle Sam, gruppo di stanza a Rochester (New York), dal look trasandato a metà fra i nostri Miss Daisy e i Guns N’ Roses, quelli degli inizi. Accompagnato da un generoso cartonato a doppia anta il lussuoso prodotto dell’etichetta di Pavia propone un libretto di quattro pagine contenente la storia della band, le due alternative della copertina – ragazza come mamma l’ha fatta e la stessa con indosso degli slip viola, ma sempre armata di rasoio – oltre a un poster 25 x 50 cm zeppo di foto.
A livello musicale, come peraltro scritto anche all’interno del booklet, le influenze degli Uncle Sam pescano a piene mani dagli anni Settanta, costituendo una miscela musicale bastarda frutto della combinazione fra un crudo hard rock dalle connotazioni sleazy e l’irruenza sfrontata del Punk. Nonostante un’immagine fortemente anni Ottanta i Nostri si fanno largo fra le folte schiere delle new sensation yankee grazie a quel tocco che sa guardare anche al passato, figlio del proprio tempo ma anche debitore di gruppi imprescindibili quali Motorhead, Black Sabbath, Aerosmith, Alice Cooper, New York Dolls, Mc5 e Alice Cooper.
Il manifesto artistico-spirituale di Larry Miller (chitarra), Scott Cessna (voce), Dave Gentner (basso) e Glenn Avery Brisk (batteria) è contenuto all’interno dei dieci pezzi idealmente avviluppati fra le cosce della ragazza in copertina che, in occasione della reissue, invero risulta più abbronzata che non nel 1987, anno di uscita del disco nella sua versione originaria. Alice D. è fottutamente figlia della lezione impartita da Vincent Furnier, grande la sporcizia rock’n’roll sprigionata sulle note della veloce Don’t you Ever, struggenti le chitarre e in Peace of Mind, Peace of Body, vicina ai coevi Gunners di LA, orgasmo elettrico in Under Sedation e climax raggiunto sul perverso songwriting della title track. Stupendamente fuori dal coro la ballad malata All Alone, poi la reissue Minotauro fornisce due tracce a mo’ di bonus: Steppin Stone dei Monkees e Train Kept A-Rollin di Tiny Bradshaw, con quest’ultima coverizzata dagli Uncle Sam alla Motorhead-maniera, proprio come fatto un decennio prima da Lemmy e sodali nel loro debutto del ’77.
Dopo l’uscita del secondo album, Letters from London del 1990, della band si perderanno le tracce. Nulla di significativo verrà più partorito dai quattro giovani e baldi di Rochester. Gli Uncle Sam andranno così a ingrossare le file dei quelli che ce l’avevano fatta, ma solo a livello underground, non riuscendo a concretizzare il salto definitivo, quello che assicurava qualche decennio, o forse più, da rockstar. Probabilmente mancavano della magia di altri, onorevoli contemporanei, che poi raggiusero il successo, quello vero, oppure semplicemente non capitò loro quell’opportunità in grado di indirizzare una carriera. Sia quel che sia, onore alla Minotauro che non smette di proporci importanti pezzi di un passato che altrimenti resterebbe relegato alla memoria di pochi, molti dei quali hanno avuto la fortuna di viverlo in tempo reale.
Stefano “Steven Rich” Ricetti