Recensione: Heavy Living

Di Fabio Vellata - 13 Settembre 2017 - 0:01
Heavy Living
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Dopo aver centrato il bersaglio con gli Inglorious, Frontiers Music tenta nuovamente la carta del vetero-rock, sporco e bluesy, con i Dirty Thrills, giovane quartetto britannico giunto al secondo album in carriera (cui si aggiungono alcuni EP), dedito ad atmosfere sulfuree ed accordi profondamente seventies che ha nelle sensazioni “low fi” e nell’approccio vintage la propria anima pulsante e più vivida.
 

“Sporco” e “bluesy” sono, in effetti, i due aggettivi che meglio si attagliano alle composizioni del gruppo inglese, guidato dalle vocals graffianti, urlate e talora declamatorie di Louis James, figlio del celebre Nicky James, noto per essere stato frontman dei leggendari Moody Blues.
Coordinate stilistiche che vanno a braccetto con Rival Sons, Wolfmother, Jackson Firebird e Queens of the Stone Age, ma che dichiarano reminiscenze ancor più remote, ascrivibili ad Iggy Pop ed ai The Stranglers, simboli di un taglio stilistico che si immerge in profondità nelle nebbie del passato, ammiccando ad un pubblico trasversale, giovane – si tratta pur sempre di stilemi tornati prepotentemente sulla breccia – ma pure un po’ nostalgico.

Rock n’roll arrogante e grossolano solo all’apparenza. In realtà la preparazione nel cesellare le composizioni non manca: le sfumature stoner sono assai palesi; le ambientazioni dilatate, quasi sabbathiane in alcuni frangenti, un corollario fascinoso che rende l’ascolto in qualche modo ipnotico, straniante e suggestivo. I frammenti southern, un ulteriore elemento di ricchezza.
Necessario, come da programma, avere un minimo di familiarità ed attrazione per il genere, nei confronti del quale è utile approcciarsi con lo spirito di chi, sin dapprincipio, è a conoscenza di quelle che saranno le peculiarità specifiche di quanto si andrà ad ascoltare.
Pena, una serie eterna di sbadigli ed una scomodissima sensazione di noia, notoriamente il peggior compagno di viaggio esistente quando si ascolta musica.

Se però, le ambientazioni caliginose da film d’exploitation anni settanta, le armonie ciondolanti del classic rock crudo e polveroso, la fascinazione di suoni fangosi e le assolate scenografie da duello western rappresentano una probabile attrattiva, il viaggio sarà una piacevole full immersion in un immaginario dai sapori fortemente vintage e retrò, suonati e riprodotti quasi provenissero da un vecchio vinile.
La voce di James, indubitabilmente, merita un applauso, insieme ad una crew di musicisti che si mantiene alla radice di un’esecuzione essenziale e senza ridondanze: brani come “I’ll Be With You”, “Hanging Around”, “Rabbit Hole”, (gran pezzo) e “Lonely Soul” (una ballata blues degna di Glenn Hughes), appaiono significative di quanto la band britannica abbia nelle proprie capacità, dimostrazione di un amore profondo per gli anni settanta e per il blues rock, torrido, ruvido ed intenso.
 

Insomma, per farla breve, anche questa volta Frontiers “ci ha preso”, mettendo sotto contratto una realtà dal valore evidente e con un potenziale notevole.
Il patto, come già ben specificato, è quello di provare un certo interesse per lo stile proposto, un po’ seventies, un po’ stoner-blues, parecchio “low-fi”.
O giungere al termine di “Heavy Living” potrà creare qualche problema.

Se poi cowboy, pietraie assolate e sobborghi urbani sono il vostro pane quotidiano, tanto meglio…

 

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