Recensione: Heavy Metal Breakdown
E’ il 1984. I Grave Digger irrompono letteralmente sulla scena come un martello pneumatico, mirando direttamente a detronizzare e stritolare gli indiscussi regnanti del Metal tedesco, ovvero gli Accept. Come se non bastasse la title track ruba il riff principale proprio di un pezzo degli Accept (Flash Rockin’ Man). Ora, non dovreste pensare ai Digger come a una squallida clone-band Accept, perché non lo sono, sebbene le similarità siano abbastanza evidenti, a partire dal tipo di sound: ritmiche serrate e tiratissime, cori anthemici e vocals rauche, sgraziate ma di grande effetto e potenza, in perfetto stile ottantiano (di esempi potremmo citarne a decine). Per finire una produzione prvera, con le chitarre estremamente rozze. La crudezza del sound è quasi ricercata, e in effetti quella frustrante distorsione tenuta a livelli esagerati su tutto l’album non fa altro che accentuare l’idea di frantumare tutto che è alla base del disco. Le canzoni stesse sono granitiche, dirette mid-tempo sostenute da un unico riff principale, ed alcune di loro soffrono particolarmente della qualità del suono. Un esempio su tutti è fornito da “2000 lightyears from home”, dall’enorme potenziale distrittutivo, che risulta molto confusa, piuttosto che spietata e diretta, non risultando certo una killer song. “Yesterday” non è certo la cover della più nota canzone dei Beatles, ma una power-ballad in cui Chris prova a mettere in mostra il lato più melodico della sua versatile voce, mentre “Tyrant” non è neanche lontanamente l’omonimo brano (fondamentale) dei Judas Priest.
Le canzoni che preferisco sono la title track e la già citata “Yesterday”: la prima distruttiva e da pogo, la seconda, come detto, soft e melodica. Paradossalmente credo che il sound delle chitarre, così distorto al punto da sembrare malvagio, si adatti pìù a un pezzo come “Yesterday” che a uno più tirato.
Le liriche non dovrebbero essere prese troppo seriamente, questo è ovvio, dal momento che siamo in piena NWOBHM, quando la voglia di divertirsi e spaccare tutto ha il sopravvento su eventuali introspezioni di carattere metafisico.
Anche la cover lascia molto a desiderare, contribuendo a quella sensazione già espressa di crudezza. Tutto confluisce alla definizione di un album comunque interessante, per gente che vuole divertirsi in perfetto stile anni ottanta, che non bada certo a tecnicismi o raffinatezze snob. In questo senso il disco è perfetto, e le sue lacune diventano certamente meno decisive. Quindi anche se ci troviamo di fronte a un lavoro forse immaturo, non possiamo davvero nascondere il talento della band, e il voto che leggerete alla fine di questa recensione (e vi ringrazio per non aver letto solo quello!) è riassunto dalla seguente osservazione: questo, ragazzi, è metallo nella sua forma più pura. Non mi stupisco che ancora oggi la gente impazzisce e delira quando in sede live vengono proposti classici come “Heavy Metal Breakdown” o “Headbanging Man”!
Tracklist:
1. Headbanging man
2. Heavy metal breakdown
3. Back from the war
4. Yesterday
5. We wanna rock you
6. Legion of the lost
7. Tyrant
8. 2000 lightyears from home (2:54)
9. Heart attack