Recensione: Heavy Metal Thunderpicking
E dopo anni di gavetta, di fatiche, di sangue e sudore, i goriziani Sacro Ordine dei Cavalieri di Parsifal arrivano al tanto atteso debutto discografico. Il nome della band, per quanto curioso (qui i Nostri spiegano la genesi di tale scelta n.d.r.), è dannatamente geniale, visto che, appena nominato, rimane subito impresso nella mente e crea curiosità attorno all’operato del quintetto isontino. Ha inoltre il pregio di dare immediatamente un indizio su quale possa essere il genere proposto dai cinque metalhead, facendo sottintendere la passione per le sonorità più classiche ed epiche, “selezionando” in maniera implicita la fetta di pubblico a cui i Nostri vogliono rivolgersi. Se a questo sommiamo che il titolo scelto dai Sacro Ordine per il loro primo full length è “Heavy Metal Thunderpicking”, beh, l’indizio dato del nome della band diventa ora una certezza. Ed è con questa certezza che ci apprestiamo ad addentrarci nell’ascolto della prima fatica dei “defenders of the faith goriziani”.
Basta infatti premere “play” e i Sacro Ordine, attraverso un autentico salto spazio-temporale, ci riportano ai gloriosi anni Ottanta, periodo in cui l’heavy metal dettava legge, disseminando nel globo tonnellate di acciaio tonante. “Heavy Metal Thunderpicking” si articola in otto tracce più intro, per la durata complessiva di quasi quaranta minuti, e si erge attorno al guitarwork di Carlo Venuti che, oltre a esibire interessanti doti tecniche, dimostra di conoscere a menadito la materia, tessendo delle trame chitarristiche che sanno di anni Ottanta sino al midollo. Il suo operato è ben supportato da una sezione ritmica di tutto rispetto che, per l’occasione, può contare sull’apporto di Stefano Rumich, uno dei batteristi più quotati del nord-est metallico che ha collaborato in studio con la band goriziana. Come facilmente intuibile da quanto fin qui scritto, i Sacro Ordine non inventano nulla di nuovo, ma non è questo che dobbiamo chiedere loro, né tantomeno risulta essere l’intento del quintetto, che punta invece a divertirsi e far divertire suonando quello che gli piace, evidenziando una fede e una passione uniche per l’heavy metal. La musica della band goriziana può quindi essere considerata come un prodotto creato da dei fan della scena più classica e pensato per gli appassionati delle medesime sonorità. Le influenze dei Sacro Ordine sono facilmente riconoscibili, le composizioni “odorano” infatti di N.W.O.B.H.M., di Dio, di Manowar, in particolare nell’uso dei cori. Chiari esempi di quanto appena detto sono la maestosa ‘The Blood of Your Roots’, la cadenzata ‘Ace of Clubs’ e la melodica ‘Fate’s Embrace’, canzoni che inoltre evidenziano il già citato ottimo lavoro svolto dalla chitarra di Carlo Venuti. I Nostri piazzano anche un paio di stilettate niente male, rappresentate da ‘Heartshaker’, che suona molto Grave Digger, e ‘Endless Worm’, che sa di Helloween periodo “Walls of Jericho”, donando così maggiore varietà al disco. “Heavy Metal Thunderpicking” può inoltre contare su un suono curato, capace di trasmettere il giusto impatto e pathos richiesti dalle composizioni, frutto dell’ottimo lavoro svolto da Marco Falanga in cabina di regia. Anche nelle favole più belle, però, arriva il momento dei “ma…”. A sollevare qualche perplessità, infatti, è il cantato di Paolo Fumis, il cui stile, che sembra poggiare più sull’istinto, non risulta convincente in tutta la durata del platter. Il singer è autore di una prestazione altalenante, non riuscendo a garantire a tutte le canzoni “quel qualcosa in più” che un cantante dovrebbe dare, come accade, ad esempio, nella ballad ‘Tears of Light’ o in ‘Four Kings’. Per alcuni può essere considerato un peccato veniale, ma in un contesto come quello attuale, con la concorrenza spietata con cui bisogna inevitabilmente confrontarsi, sarà sicuramente un aspetto che inciderà sul numerino in basso a destra.
Come ampiamente sottolineato in sede di analisi, “Heavy Metal Thunderpicking” risulta essere un lavoro che saprà soddisfare i palati dei defender più puri, evidenziando una volta in più la qualità e l’ottimo stato di forma che la scena tricolore, quella più classica, quella tutta pelle e borchie, può vantare. Un disco suonato con tanta passione e voglia di divertirsi (come si può facilmente notare dai video realizzati dalla band n.d.r.), che non inventerà nulla di nuovo ma che saprà sicuramente regalare pregevoli dosi di acciaio affilato. Non rimane che dargli una possibilità, defender, i Sacro Ordine non aspettano altro, per la fede, per l’acciaio, per l’heavy metal.
Marco Donè