Recensione: Heavy Rock Radio II, Executing the Classics
Voce straordinaria, talento interpretativo eccelso.
Uno dei migliori frontman degli ultimi vent’anni in ambiti hard rock ed heavy.
Roba già detta un sacco di volte.
Più o meno da quando, parecchio tempo fa, Jorn Lande si era manifestato alla guida di alcuni misconosciuti gruppi scandinavi, nell’ordine Vagabond, The Snakes e Ark, facendo meravigliare chi aveva avuto la fortuna di ascoltarne i vocalizzi. Con particolare sottolineatura proprio per i mai abbastanza rimpianti Ark, vero trampolino di lancio per il lungocrinito vichingo dalla voce carnivora
Consacratosi a stella di prima grandezza, Jorn ha mostrato con costanza un talento cosmico al microfono che però non è sempre andato di pari passo con la qualità delle sue uscite soliste – divenute nel frattempo prioritarie – frutto di un songwriting incerto, qualche volta arido ed asfittico, troppo spesso derivativo e pregno di cliché.
L’ultimo disco edito nel 2017 – “Life on Death Road” – lontano dall’essere un capolavoro, era comunque materiale di discreto livello, certo migliore di alcuni passi falsi compiuti in passato.
Non sorprende insomma che il buon Jorn – probabilmente affetto anche un po’ da sindrome di iperpresenzialismo – tenti di tanto in tanto di rifugiarsi nei classici, sfornando un album di cover attraverso il quale ossequiare le proprie fonti d’ispirazione ed in cui poter far scorrazzare le imponenti corde vocali di cui generosamente madre natura lo ha dotato.
Un gioco semplice, in fondo: canzoni di successo (ancorché spesso non famosissime) e già di per se efficaci, sovrastate da una voce tonante e da dio dell’olimpo.
Una formula pur banale, ma alla prova dell’ascolto, vincente per forza.
“Heavy Rock Radio II”, va da sè, è il seguito del primo capitolo uscito nel 2016 ed è l’ennesimo lotto di interpretazioni “made in Jorn“. Voce sempre grandiosa per una scelta di brani per nulla scontata: spiccano rivisitazioni di pezzi non certo mainstream di Foreigner (“Night Life”), Deep Purple (“Bad Attitude”), Russ Ballard (“Winning”), Bryan Adams (“Lonely Night”) e Don Henley (“Lonely Night”).
Il meglio però deriva dalle insolite cover di Manfred Mann (“Quinn the Eskimo”) e The Searcher (“Needles and Pins”), passaggi che, non avendo una grande eco in quanto a ricordi “di massa”, possono persino affascinare quasi fossero creazioni originali e di nuova realizzazione.
Non manca come naturale e pressoché scontato, il solito tributo a Ronnie James Dio – motore primario e musa massima di Jorn – omaggiato con la orecchiabile “Mystery“, traccia estrapolata dall’immenso e totale “The Last in Line” (1984).
Uno per l’altro, tutti pezzi godibili e di facile ascolto, supportati da una band di musicisti di buona caratura ed interpretati da una voce superiore.
Disco non necessario forse, semplice aggiunta e divertissement nella carriera di un artista che attende, ancora, dopo parecchi anni di militanza, il vero pezzo da novanta, l’album davvero definitivo, che lo renda finalmente immortale come meriterebbe.
Fin qui una serie di uscite “mediane”, con qualche discesa e qualche punta in alto, in una panoramica discografica all’interno della quale “Heavy Rock Radio II – Executing the Classics” s’inserisce comodamente, senza stonare, con un po’ di buona musica e semplice divertimento.