Recensione: Hecate
Tanto inattesi quanto sconosciuti, gli Abaton sono una delle nuove realtà più promettenti della scena estrema nostrana. Emersi dall’underground romagnolo, i cinque, a un solo anno di distanza dalla loro nascita, debuttano sul mercato discografico mondiale con l’EP “Hecate”.
Inutile girare troppo intorno a certe questioni, questo è un lavoro di assoluto rilievo, che farà la felicità di tutti gli amanti delle sonorità più claustrofobiche e malate.
Ma cosa suonano esattamente i ragazzi? In realtà, classificare la proposta all’interno di un solo genere, oltre ad essere piuttosto riduttivo, sarebbe quanto mai fuorviante. Il quintetto, infatti, pur costruendo il proprio sound attorno a una solida base di freddo e spietato black metal, si diverte a sperimentare, creando così un miscuglio di sonorità dissonanti, sufficientemente originale e interessante. Ascoltando con attenzione i brani contenuti in “Hecate” si notano in continuazione divagazioni dal sapore sludge, così come forti influenze doom e, talvolta, un’attitudine vicina al punk più corrosivo e selvaggio.
Il mood che si respira è riconducibile, in parte, a quanto fatto da gruppi quali Xasthur e compagnia depressive; d’altra parte, è innegabile una certa influenza esercitata sui nostri da formazioni come gli americani Mitochondrion, il tutto permeato da un continuo richiamo al doom degli Electric Wizard.
Il senso di claustrofobia è sottolineato dall’ottimo lavoro ritmico svolto dal bassista Matteo e dal batterista Damiano Rogai, quest’ultimo autore di una prova magistrale, perfetta sia sotto il punto di vista della varietà che sotto quello della precisione.
Non che Marco alla sei corde si risparmi: il chitarrista disegna un rifferama multiforme che non segue mai linee melodiche scontate. Il riffing alterna a vertiginose accelerazioni passaggi rallentati, i quali riescono a sottolineare con decisione le atmosfere sulfuree che permeano l’opera per tutta la sua durata.
A completare il quadro ci pensano poi le voci di Silvio e Riccardo, perfette sia nei laceranti scream che nei cavernosi growl. L’utilizzo di due voci, sebbene possa sembrare superfluo, in realtà riesce a conferire maggiore potenza, corposità e violenza alle composizioni dei nostri.
Diviso in sei episodi, per una durata complessiva di poco superiore ai 30′ di musica, “Hecate” è aperto dai 5 minuti e 38 secondi di “My Helvete”. Il brano mette subito in mostra non solo un songwriting maturo e interessante, ma anche le buone capacità tecniche/esecutive del combo. La canzone viene introdotta da una lunga sessione strumentale degna dei migliori Electric Wizard, che lascia poi spazio ad un’esplosione black metal che difficilmente lascerà impassibili gli amanti della musica più estrema. Se “My Helvete” risulta essere un antipasto più che gustoso, con la successiva “Nia” i Nostri non fanno che confermare tutte le ottime premesse, spingendosi addirittura oltre: i ritmi si fanno più sostenuti, le linee melodiche divengono ancor più oscure, impenetrabili, il tutto a sostegno di uno screaming acido ed estremamente espressivo.
I ragazzi si mostrano a proprio agio anche in tracce più brevi come accade nell’ottima “Too Close, Fire. Epilogue of Beginning”. I 3 minuti e 5 secondi scorrono via con grande piacevolezza. Nonostante la durata esigua del brano, i Nostri riescono a dare spazio sia al doom più marcio e polveroso, sia al black più ferale e freddo.
Le restanti tracce si muovono più o meno sulle stesse coordinate, mantenendosi su un livello qualitativo ben più che dignitoso.
Volendo muovere una critica a “Hecate”, si può notare come, pur nella sua innegabile piacevolezza, l’opera nel suo insieme risulti un poco piatta, a causa di una certa somiglianza tra le diverse canzoni.
D’altra parte, però, a controbilanciare questo “piccolo peccato”, ci pensano una produzione decisamente all’altezza delle aspettative, che, grazie all’ottimo bilanciamento dei volumi, sottolinea la lodevole prestazione tecnica dei membri del combo.
Un plauso va anche al lavoro grafico svolto dalla Batzar studio: la copertina, rigorosamente in bianco e nero, ricorda alcuni lavori dei Behemoth (su tutti “Evangelion”). Il packing cartonato è di buonissima fattura e incornicia degnamente un album che definire riuscito sembra quasi riduttivo.
Nonostante gli Abaton abbiano ancora ampi margini di miglioramento, il loro valore è innegabile: non solo i cinque si dimostrano degli esecutori di livello, ma anche degli arrangiatori di buona qualità.
Qualche piccolo angolo da smussare ancora c’è, ma se siete alla ricerca disperata di sonorità estreme, claustrofobiche e desuete, allora con questo “Hecate” troverete certamente pane per i vostri denti.
Emanuele Calderone
Tracklist:
01- My Helvete
02- Nia
03- Exceeds
04- Too Close, Fire. Epilogue of Beginning
05- Transcending of Perception
06- Metamorphosis (feat. Dorian Bones)
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