Recensione: Heimgang
Ricordate i Kampfar? Questo ormai storico gruppo norvegese, attivo sin dalla prima metà degli anni novanta, a partire dall’album
d’esordio “Mellom Skogkledde Aaser” (1997) ci ha regalato alcune vere e proprie perle di epico paganesimo nordico come l’EP “Norse”
(1998) o lo splendido “Fra Underverdenen” (1999), senza tuttavia aver mai raggiunto una notorietà paragonabile ad altre realtà della
scena viking/pagan/folk/black scandinava. I Kampfar rientrano insomma nella categoria dei gruppi “che non hanno raccolto tanto
quanto avrebbero meritato”: sono frasi fatte, certo, ma in alcuni casi corrispondono né più né meno che alla realtà.
Sta di fatto che per varie ragioni (che non è questa la sede per esaminare in modo esaustivo) il combo capitanato da Dolk, a
dispetto dell’enorme qualità dimostrata nel corso degli anni, è rimasto relegato ad una dimensione relativamente “di culto”. Da un
lato, è probabile che la discontinuità delle uscite discografiche abbia avuto il suo peso in tal senso (ricordo che per problemi di
line-up e varie beghe legali tra “Fra Underverdenen” e il successivo “Kvass” sono trascorsi sette lunghi anni). Dall’altro lato,
proprio la scelta di rimanere ostinatamente ancorati alle radici del genere, senza concessioni di sorta al “mainstream” e senza
quelle sperimentazioni in cui molti altri colleghi si sono presto o tardi cimentati, ha verosimilmente precluso ai Kampfar l’accesso
ad un pubblico più vasto, rendendoli al contempo un punto di riferimento per tutti i nostalgici del viking così com’era inteso alle
origini.
La proposta dei nostri in effetti si riallaccia, in ultima istanza, proprio ai “grandi padri” del genere: ci si riferisce
ovviamente ai Bathory, da cui i Kampfar riprendono la capacità di creare con poche, grezze pennellate, scenari incredibilmente epici
e suggestivi, nonchè ai primi Enslaved, con i quali condividono quell’alone di fredda e maestosa ferocia che porta incisa a chiare
lettere la loro identità norvegese. Stiamo dunque parlando di un viking/black diretto e senza troppi fronzoli, in cui la componente
folk (che pure è ben presente), emerge essenzialmente dalle lineari quanto evocative melodie intessute dalle chitarre. Laddove altri
puntano sull’utilizzo di tastiere, flauti, violini o voci femminili, i Kampfar scelgono di esprimersi quasi esclusivamente
attraverso gli strumenti “di base”: basso, chitarra, batteria e screaming rabbioso.
Tutto questo si ritrova in “Heimgang”. Completamente indifferenti alle tendenze e al trascorrere degli anni, i Kampfar continuano
con indubbia coerenza per la propria strada, sfornando 47 minuti di genuino viking/folk/black “alla vecchia maniera”. Rispetto a
“Kvass” si nota forse una maggiore immediatezza e fruibilità, complice una durata media delle tracce significativamente inferiore
che rende il nuovo album più agile e compatto rispetto al predecessore; per il resto, se già avevate avuto modo di apprezzare i
precedenti lavori del combo di Fredrikstad, non dovreste avere molte sorprese.
Come sempre infatti i Kampfar sanno coniugare una sana dose di aggressività -in cui si fa sentire il retaggio black- ad atmosfere
epiche e solenni, dando vita ad un’alchimia molto riuscita che costituisce ormai il loro inconfondibile marchio di fabbrica. Il
tutto mediante il ricorso a riff quasi elementari e a linee melodiche tanto orecchiabili quanto incredibilmente efficaci, in cui
riecheggia tutto l’immaginario della tradizione nordica. Proprio questa intensità nel songwriting rappresenta probabilmente il
maggior pregio dei Kampfar, capaci, come pochi altri (mi vengono in mente i primi Windir), di racchiudere così tante emozioni in
poche semplici note ben congegnate. Semplicità che in questo caso è uguale a forza, come risulta immediatamente evidente sin
dall’intro strumentale: un giro di basso e pianoforte all’apparenza banalissimo, ma estremamente suggestivo, su cui si innestano
batteria e chitarre, fino a sfociare nella prorompente veemenza di Inferno. Tra gli episodi più riusciti del lotto potrei
citare anche le ottime Antvort, Dødens Vee e Vettekult, ma non avrebbe molto senso soffermarsi in un’analisi
traccia per traccia perché la qualità media dei pezzi che compongono “Heimgang” è abbastanza omogenea, oltre che tendenzialmente
alta.
I fasti di “Fra Underverdenen” magari saranno lontani, ma resta il fatto che questo “Heimgang” è un album onesto, ispirato e
coinvolgente, oltre che estremamente piacevole da ascoltare (e riascoltare), che in ultima analisi non delude le aspettative. I
kampfar, come si è detto, si guardano bene dall’avventurarsi in sperimentazioni di sorta, limitandosi a fare ciò che sanno fare
meglio. Niente di nuovo insomma, solo tanta coerenza, passione e una fedeltà ormai in un certo senso nostalgica allo spirito del
vecchio viking norvegese, quello ruvido, diretto, violento e capace, con quattro note messe in croce, di evocare immagini di una
carica epica disarmante. Al di là di una certa sensazione di “già sentito” che inevitabilmente ricorre, “Heimgang” ci riconsegna i
Kampfar in ottimo stato di forma.
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Tracklist:
1. Vantro 03:06
2. Inferno 03:31
3. Dødens Vee 04:24
4. Skogens Dyp 05:20
5. Antvort 06:10
6. Vansinn 05:36
7. Mareham 05:08
8. Feigdarvarsel 05:15
9. Vettekult 04:49
10. Vandring 03:46