Recensione: Hekatomb
Qualcuno nel 2004 ci vide lungo e, dopo aver sentito le performance di questo ragazzo dietro al microfono cosi indiavolato e bestemmiatore, decise di affidargli il difficile compito di sostituire il suo iconico ex vocalist che porta il nome di Legion e che collaborò alla stesura di pagine fondamentali per il Black Metal mondiale.
Ovviamente parliamo dei Marduk e di quello che fu, nel 2004, un divorzio che lasciò tutti atterriti con il serio punto interrogativo sull’effettivo proseguo della band per come tutti l’avevano conosciuta.
Arioch, Mortuus oppure più semplicemente Hans Daniel Rostén entrò in punta di piedi e il suo biglietto da visita fu prima il guerrafondaio Plague Angel per poi lasciare spazio a quel lavoro più “sperimentale” che porta il nome di Rom 5:12. Da li i dubbi furono tutti messi da parte e, se Rostén si distaccava totalmente dalle timbriche e dal range vocale dell’ icona Legion, non si poteva che non ammirarne la brutalità, la cattiveria e soprattutto la versatilità con le quali affrontava i nuovi e i vecchi pezzi della band.
Da quegli anni in poi Rostén sarà IL cantante dei Marduk nonché colonna portante inscindibile dall’ascia del diavolo Morgan, il resto è storia.
Questo viaggio indietro nel tempo è utile per capire ciò di cui stiamo parlando oggi, ossia l’ ultima fatica del sempre più leader Daniel Rostén, in grado, nel 2018, di uscire nel già inflazionatissimo mercato di metallo estremo in pochi mesi con due dischi di fattura enorme come il bellicista e militarista Viktoria sotto il monicker Marduk e con questo prepotente e allo stesso tempo claustrofobico Hekatomb timbrato Funeral Mist.
Diciamolo subito, Hekatomb è il disco di Arioch o Rostén o Mortuus, ma mai quanto questa volta il paragone con la sua band madre, se così si può definire vista la maggiore notorietà, è appropriato. Vuoi la scelta dei suoni sia di chitarra e della batteria che richiamano palesemente quelli utilizzati dalla sua altra band soprattutto nell’ultima fatica in studio, ma è palese che l’amico/compagno di eventi bellici Hakansson ha influenzato non poco lo stile del nostro mastermind qui in questione.
Tuttavia, a differenza con l’ultima fatica della band anticristiana per eccellenza di Norrköping, questo Hekatomb risulta un disco ancora più violento che si, concede spazi a situazioni più atmosferiche ed evocative, ma tiene sempre lo stato d’allerta elevatissimo come se una spietata pioggia di proiettili e fuoco possa arrivare da un momento all’altro senza lasciarti scampo.
In Nomine Domini, sapientemente inserita come opener del platter è il manifesto del disco; un inizio in sordina, come se dovesse studiare il nemico, per poi attaccarlo con fendenti letali da più lati per essere certo di colpirlo mortalmente, un attacco efferato che si alterna a rallentamenti carichi di groove degni di un Hetfield sotto superalcolici come un bel tempo che fu.
Gli episodi brutali nel disco si sprecano, il blast ci viene servito come quanto viene servito un espresso alle nove di mattina su un qualsiasi bar in una qualsiasi città italiana, non c’è scampo, ma dire che si tratti solo di blast e tremolo sarebbe riduttivo.
Il punto forte di Hekatomb sta nella ricercatezza di soluzioni che possano arricchire ogni singolo pezzo e non sono mai fine a se stesse, una costante che aleggia per tutti i quarantatre minuti di durata; non esiste un solo brano che inizia in un modo e finisce allo stesso, è una montagna russa di emozioni malvage e malsane dove mai nulla è lasciato al caso, segno di una maturità musicale che è in possesso solo a pochi veterani del settore anticlericale.
Cockatrice e Metamorphosis, che formano insieme un’ unica suite di un quarto d’ ora, rappresentano il fondo dell’ abbisso di tutto il disco; un inizio indiavolato alla pari della Battaglia di Brody Dubno per poi, dopo esileranti momenti atmosferici “a la Filosofem”, trasformarsi in una cavalcata mid tempo marziale epica e battagliera che procede fiera in tutto il suo incedere come dei Panzerkampfwagen lanciati contro le orde russe.
La fiera delle armi si conclude con la biblica Pallor Mortis, anch’essa un massacro collettivo controllato dove lo stesso Rostén fa il diavolo a quattro in quanto a interpretazione, non c’è n’è per nessuno.
Se l’ecatombe era una cerimonia sacra caratterizzata dall’uccisione di animali offerti in sacrificio a una divinità nell’antica Grecia, Hekatomb non lascia prigionieri, che siano animali o esseri umani, è un vero massacro oltre che sonoro, emotivo, grazie alla prestazione sopra le righe di un Arioch sempre più a suo agio nel ruolo di leader assoluto e, oltre che essere ispirato lo definirei efficace, raggiungendo il punto, facendo fare un salto in avanti alla sua creatura, nata come black metal band e facendole aumentare il raggio d’azione. Il genere è quello, puro metallo nero anticristiano, ma l’evoluzione del sound c’è, e se la costante e progressiva crescita rimarrà invariata molto probabilmente col prossimo platter avremo un piccolo capolavoro del genere.