Recensione: Heliopolis
Pur non conoscendo assolutamente la biografia di questi Apophis vi posso dire con certezza che si tratta di una band tedesca, che dovrebbe avere al suo attivo la sola uscita di questo album. Un album, se devo essere onesto (e devo esserlo…), che non mi ha per nulla colpito anche dopo parecchi ascolti, con pallide idee che cercano a stento di emergere ma di fatto rimangono di uno sconcertante grigiume. Dopo questa premessa decisamente non incoraggiante parto con la descrizione di questo Heliopolis.
L’etichettazione del lavoro è forse l’aspetto più semplice, in quanto la band tedesca suona un Death metal palesemente ispirato ai vari In Flames e Dark Tranquillity, senza raggiungere però il livello qualitativo di nessuno dei due. Come potete osservare dalla data di pubblicazione di questo Cd, il periodo era quello in cui il Death melodico aveva un grandissimo successo, ed evidentemente anche i nostri si erano buttati nella speranza di poter fare capolino tra la massa incredibile di gruppi che si cimentavano nella medesima impresa. Quello che hanno sfornato sono invece state 9 tracce con qualche spunto interessante ma niente più, e con parecchi elementi che abbassano in maniera esponenziale la qualità del lavoro. Primo fra tutti la voce: prevale uno pseudo-growl, tecnicamente assolutamente insufficiente e che nè colpisce per l’impatto nè riesce ad amalgamarsi al rimanente contesto musicale.
Parlando della parte strumentale, niente da dire sulla tecnica dei singoli; anche a livello d’arrangiamento il lavoro è ben strutturato. Ma le canzoni sono tutte assolutamente anonime, quasi fossero state costruite più su basi meramente tecniche che non armoniche: cosa che in questo genere penalizza fortemente il risultato finale. In realtà a livello melodico il suono degli Apophis non si avvicina sempre alla scuola svedese, rimanendo ancorato piuttosto a sonorità classiche: ciò non toglie nulla a quanto ho detto, perchè ancora una volta devo ribadire come il tutto sia fortemente impersonale. Qua e là spunta ogni tanto una tastiera molto discreta a riempire qualche buco, ma non è certo su queste che i tedeschi puntano. Piuttosto la loro musica è molto incentrata su arrangiamenti continuamente rinnovati e assoli ben eseguiti.
Heliopolis non diventerà mai e poi mai uno dei vostri Cd preferiti, anche se devo ammettere che qualcuno potrebbe trovarlo interessante; per me è mancato anche quest’ultimo elemento, anche perchè col senno di poi è stato ampiamente dimostrato come lavori come questo possano tutt’al più vivere di mode del momento. Ricordiamo poi che ci muoviamo in un contesto relativamente underground, quindi non vi aspettate una super-produzione dai suoni iper-pompati… Tragico poi il vano tentativo (che emerge da un attento ascolto di alcuni brani) di imitare le claustrofobiche sensazioni di una perla dal titolo With Fear I Kiss The Burning Darkness; ma questa è un’altra storia.
Può valere la pena di dare un ascolto, avendone l’occasione, a questo Cd. Fossi in voi non mi darei comunque troppa pena per cercarlo, perchè ci sono veramente molte altre uscite più interessanti e degne di maggiore attenzione. Peccato perchè questo è il classico esempio di band con buone potenzialità che si lascia sfuggire un’occasione d’oro, e che ha pagato questa carenza con un ritorno forse definitivo all’anonimato.
Matteo Bovio