Recensione: Hell
Anno 2018, ma potrebbe anche essere il 1986.
Spesso mi son ripetuto, in maniera quasi ossessiva lungo le recensioni sparse che scrivo per questo onorevole portale, circa il fatto che spesso le migliori uscite di qualsiasi genere in campo contemporaneo sono proprio quelle che hanno la sana pretese di non voler innovare proprio un bel nulla: sì, perché tra hipsters in camicia con chitarre a 9 corde accordate talmente in basso che rendono inutile l’utlizzo di qualsiasi bassista e personaggi dall’attitudine emo truccati come ne Il Corvo (dissacranti per la memoria dello stesso Brandon Lee), trovarsi ancora in giro dei tamarri vecchia scuola interessati unicamente al moto “Donne, Motori, Birra e Rock & Roll” i cui giubbotti di jeans sono ricoperti fino all’ultimo centimetro da toppe come ai bei vecchi tempi, fa solo bene al concetto del più immortale e sano Heavy Metal.
Bentornati anni ’80 quindi, anzi meno male che non ve ne siete mai andati altrimenti questi Hipsterozzi chi se li reggeva più?
“Hell” è il primo EP al fulmicotone degli speed metallers scozzesi Vuil, un primo traguardo importante dopo una carriera fatta di svariati demo, uno split e pure un singolo.
Come già accennato in introduzione, non bisogna aspettarsi nulla di nuovo se non un sano e robusto Speed Metal vecchia scuola, con riffoni pentatonici nella migliore tradizione Hard & Heavy e Motörheadiana, spesso accellerati a dismisura per rendere il tutto degno della migliore tradizione Speed Old School: in pratica, i Vuil risultano, a conti fatti, una versione maggiormente Rock & Roll e scatenata dei Ranger, formazione finlandese che in tempi recenti ha fatto proseliti con il secondo album “Speed & Violence”, altro disco che pare uscito direttamente dalle fumose cantine del 1986.
Il songwriting è diretto & essenziale e pertanto i relativi brani risultano, come appunto da tradizione, tutti abbastanza simili (nessun mid tempo tra questi sei brani per intenderci) ma non per questo identici, impegnati come sono in potentisssime sfuriate sparate alla velocità del suono, contornati da una produzione che, sul serio, è degna figlia dei dischi storici del genere del calibro di “Heavy Metal Maniac” degli Exciter: sporca, autentica, poco rifinita ma proprio per questo perfetta presentazione dell’attitudine musicale del combo scozzese. Il comparto lirico è anch’esso degno erede dei dischi ottantiani, incatenato com’è tra stregoneria, donne e motori con cui attraversare sterminate lande infernali.
Un EP, godibile al 666% dall’inizio alla fine, che non è solo mero revival, quanto una effettiva dimostrazione che lo spirito della Vecchia Scuola ha ancora un senso effettivo per i musicisti del nostro tempo, sia che questi siano reduci della gloriosa era che fu, sia che questi siano giovani ammiratori di quel suono e quel modo di intendere la vita che si chiama, tutt’oggi, Heavy Metal.