Recensione: Hell, Fire and Damnation
HEAVY METAL = SAXON
SAXON = HEAVY METAL
Come già scrissi in passato su queste stesse pagine truemetallare se mi capitasse di incontrare un alieno appena piovuto sul pianeta terra che mi chiedesse cos’è l’heavy metal gli risponderei di ascoltarsi Wheels Of Steel. Lì dentro c’è TUTTO quanto serve sapere.
Non serviva di certo quest’ultimo Hell, Fire and Damnation uscito sotto l’egida delle fedelissima Silver Lining Music per certificare l’equazione a inizio recensione.
Possiede però il potere di consolidare il concetto, ormai cementificato dopo ventiquattro album ufficiali.
I Saxon sono come la Porsche Carrera, la 911, più o meno sempre uguale ma sempre temibile, in tutte le sue diverse incarnazioni negli anni.
Hell, Fire and Damnation qualche differenza però la marca, rispetto al passato.
Nulla di eclatante, si tratta di particolari, ma significativi.
In primis la copertina, letteralmente spettacolare, a cura di Péter Sallai. Un vero e proprio quadro al quale manca solo la cornice e chissenefrega se molto probabilmente l’autore si è anche aiutato con tecniche al computer. Quello che conta è il risultato, esaltante, prova ne sarà la versione in Lp dell’album, ove risalterà al meglio. Specificato che quelle di Saxon e Crusader fanno da sempre un campionato a parte e un paio di cover storiche, iconicissime e minimaliste hanno fatto la Storia, quella con la ‘S’ maiuscola, cioè Wheels Of Steel e Strong Arm Of The Law, quella di Hell, Fire and Damnation fa mangiare la polvere alle colleghe poste sugli album degli ultimi, recenti decenni.
Altra particolarità: le tematiche legate alla lotta fra il bene e il male rappresentate in copertina e riversate all’interno della title track. Una terminologia esplicita che così non era mai apparsa su di un disco dei Saxon: Child Of Satan, Satanic Rites, The Antichrist, Demonic Verses, Satan’s Fire.
Ottimamente prodotto da Andy Sneap e Peter “Biff” Byford, Hell, Fire and Damnation restituisce una “botta” alle casse terrificante, in termini di potenza espressa, in linea con gli ultimi lavori in studio.
Paul “Blute” Quinn, nonostante le varie dichiarazioni buoniste molto probabilmente è sempre più un ex Saxon, lo conferma la sua recente collaborazione in sede live con Graham Oliver e il fatto che su quest’ultimo disco suoni solamente all’interno di “Fire And Steel” e “Super Charger”, verosimilmente i pezzi più “vecchi” del lotto di quelli poi finiti nell’album.
In sua vece il Diamond Head Brian Tatler, un altro macina riff della vecchia guardia che ha contribuito a scrivere alcuni brani, fornendo il proprio apporto. Significativo notare che, all’interno del booklet che accompagna la versione in Cd digipak di Hell, Fire and Damnation sotto al titolo dei vari brani, prima dei testi venga specificato bene bene chi faccia i vari assoli.
Musicalmente questo ventiquattresimo parto degli Stallions Of The Highway dello Yorkshire costituisce l’ennesima gragnuola d’Acciaio infuocato ove la title track, per enfasi ed epica rilasciata va a segnare l’highlight del disco. Quando c’è da menare, poi, i Saxon, marcano il territorio, si veda alle voci “Fire And Steel”, “1066” e “Kubla Khan and the Merchant of Venice”, ove in quest’ultima giocano a fare i Motörhead. Qualche fillerone di prammatica non inficia più di tanto l’onda d’urto che porta in dote il disco, che anche nel momento in cui il piede preme un po’ meno sull’acceleratore piazza dei colpi ben assestati, con l’oscura “Madame Guillotine” su tutte.
A meno di auspicabili outsider, sempre benvenuti, Hell, Fire and Damnation se la giocherà con i nuovi e prossimi Riot e Judas Priest per conquistarsi la palma d’oro per quanto attiene il miglior disco di heavy fucking metal tradizionale e tradizionalista del 2024.
Per tutto quanto non scritto sopra valga l’equazione di inizio recensione, qui di seguito riportata per comodità:
HEAVY METAL = SAXON
SAXON = HEAVY METAL
Stefano “Steven Rich” Ricetti