Recensione: Hell to pay
Premessa
Cos’è la musica se non espressione di stati d’animo, dettati magari dal tempo che passa? Il tempo determina la musica che scrivi e gli anni che passano determinano i gusti e gli orientamenti dell’artista come dell’ascoltatore. Questo sinceramente penso della musica. A riprova di questo forse banale assunto posso portare come semplice esempio l’ultima fatica dei Dokken, storica hard’n’heavy band capitanata dal singer Don Dokken. S’intitola “Hell to pay” e preciso subito che la riflessione forse un po’ esageratamente “filosofeggiante” riportata poco sopra, calza a pennello per questo album.
Il disco
Don Dokken forse non aveva dato prove particolarmente entusiasmanti con gli ultimi lavori di cui ha posto la sua firma. Per intenderci “Dysfunctional” aveva fatto storcere a più d’uno il naso per il poco mordente che questo lavoro aveva sull’ascoltatore medio di hard rock (forse per le sonorità troppo moderne dal punto di vista della produzione complessiva e troppo capeggianti sul versante prettamente compositivo). Io non mi sono mai posto tra questi, non perché ritenessi i suoi ultimi lavori brutti a priori. Niente affatto. Per essere più chiaro non mi sono mai aspettato un “Back for the attack” o anche un “Under lock and key” parte 2. Questo per il semplice motivo che ho sempre rispettato l’indole creativa di Don Dokken che, a dispetto dei tempi e delle mode, ha saputo dare luogo a lavori comunque ben prodotti anche negli “episodi” meno riusciti. Di questo non posso che dargliene atto. Con “Hell to pay”, forte anche delle considerazioni di cui tuttora sono convinto, i Dokken tirano fuori un disco che mantiene fede al trademark del combo senza per questo adagiarsi sulla rassicurante (e sicuramente più appagante in termini di consensi) riproposizione tout court dei classici stilemi compositivi della band. In una parola i Dokken in “Hell to pay” hanno provato ad iniettare una buona dose di “coraggio compositivo”, talvolta riuscendoci egregiamente e talvolta meno. Il risultato di questa voglia di “rischiare un po’” sono 11 traccie originali (più una bonus track acustica) che offrono uno spaccato abbastanza ampio di quella che è ed è stata la personalità artistica del famoso cantante nel corso degli anni. Non mancano i riferimenti al recente passato, con introspettivi passaggi melodici, talvolta orientaleggianti, come nella song d’apertura “The last goodbye”, subito dopo spazzati via dalla adrenalina hard’n’heavy d’altri tempi (…”Back for the attack”?) della seguente “Don’t bring me down”, song dove la voce di Dokken sembra “graffiare” come i vecchi tempi e il lavoro alle chitarre è davvero incalzante e potente (merito del bravo Jon Levin). Non mancano episodi in cui la band esplora atmosfere cupe dando luogo ad affreschi melodici dai toni quasi drammatici: è il caso della terza traccia, “Escape” dove si impone un riffing morbido e caldo sostenuto da un drumming cadenzato. Interessante risulta il successivo episodio, “Haunted”, introdotto da un riff acustico che, con l’ausilio dello slide, sembra “odorare” wyskey e distillerie. Il seguente sviluppo del pezzo segue i canoni di un hard rock di facile presa, merito di un buon riff di base potente ma cadenzato. Molto buono il lavoro in fase solistica (come del resto nel resto delle traccie): trascinante, melodico nonchè pregevolmente sviluppato. “Prozac Nation” viene introdotta da un riff d’apertura quasi accennato per poi dare libero sfoggi alla potenza di un riff prima potente e poi irresistibilmente melodico. A “spezzare” il tema fondamentale interviene un break dove chitarre pulite dall’overdrive precedono di poco l’intervento solistico di Levin. Non poteva mancare una ballad e Don, alla sesta track, ce la offre sotto il titolo di “Care for You”. Già in passato il famoso singer aveva dato prova di trovarsi pienamente a suo agio nella composizione di armonie quasi zuccherose, basti pensare alla bella “Slipaway” per esempio. Qui il discorso musicale prende una forma (e sostanza) in melodie meno cariche di positività, concentrando l’attenzione dell’ascoltatore su linee melodiche privilegianti temi maggiormente introspettivi e cupi. L’esecuzione è pregevole, anche se forse fin troppo “perfetta”. La band torna a ruggire con la successiva “Better off before” e una manciata di riffs hard’n’heavy costruiscono l’ssatura di un brano energico che alterna cambi di tempo piacevoli all’ascolto e una maturacura negli arrangiamenti. Gli echi degli ultimi esperimenti sonori riaffiorano in “Still i’m sad”, dove campeggia in bella vista un riffing cupo e articolato. Questo episodio forse risulta essere uno dei più “anonimi” per coloro che sono cresciuti ascoltando i vecchi lavori dei Dokken. Tuttavia questo lato “sperimentale”, almeno per quanto riguarda il songwriting, in parte riesce a far breccia lasciandosi ascoltare tutto sommato piacevolmente. “I surrender” prosegue nell’approfondimento di tematiche musicali introspettive e quasi “dark”, calibrando meglio il sound non appiattendolo troppo lungo sonorità troppo lontane dal trademark originale del combo. “Letter from home”,terz’ultima song, risulta essere la song più “particolare” (potrei dire “strana” ma forse neanche questa qualifica è corretta). In essa si trovano numerosi richiami a melodie del passato e non solo: per spiegarmi meglio la canzone sembra il risultato della fusione del morbido sound beatlesiano e il pop rock di Lenny Kravitz. La cosa può anche piacere, ma il risultato è un amalgama difficilmente componibile a parere del sottoscritto. “Can you see”, in coda all’album, dimostra l’abilità di Don Dokken di destreggiarsi con eleganza nella confezione di un rock caldo e ispirato. Chiude il disco la versione acustica di “Care for you” che in questa veste sicuramente acquista ulteriore espressività e intimismo, grazie all’intervento di archi e pianoforte che aggiungono un certo pathos all’esecuzione complessiva.
Concludendo “Hell to pay” sarà uno di quei dischi che lasceranno sicuramente scontenti alcuni dei vecchi appassionati del gruppo, conquistandone sicuramente di nuovi. Fare musica è un mestiere difficile, mantenere certi livelli è ancora più difficile. Il tempo passa, la musica può non adeguarsi ma seguire il suo corso. Don Dokken e la sua musica non sfuggono di certo a tutto questo. “Hell to pay” però è uscito e spetta a voi giudicare se merita un posto dignitoso tra le opere del combo. Io la risposta la do già: certamente.
Tracklist:
1. The last goodbye
2. Don’t bring me down
3. Escape
4. Haunted
5. Prozac Nation
6. Care for you
7. Better off before
8. Still I’m sad
9. I surrender
10. Letter to home
11. Can you see
12. Care for you (acoustic)
Line Up:
Don Dokken – voce
Jon Levin – chitarra
Barry Sparks – basso
Wild Mick Brown – batteria