Recensione: Hellsmoke
Con Rimbert Vahlström (ex Syron Vanes) alla voce, Christofer Dahlman (ex Alyson Avenue, Bai Bang) e Michael Åkesson (Alicate) alle chitarre, Roger Landin (ex Cloudscape) alla batteria e Jörgen Löfberg (Darkane) al basso, debuttano con l’omonimo album gli Hellsmoke.
Le precedenti militanze dei componenti della band forniscono l’ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che il regno svedese è terra capace di mantenere nel tempo una impressionante assiduità nel sfornare gruppi e musicisti di alto profilo.
Gli Hellsmoke offrono un hard rock/metal ruvido, adrenalinico e muscolare, capace di scuotere dalle fondamenta l’intero caseggiato e di rappresentare un’efficace arma di ritorsione contro i vicini.
Allacciate le cinture di sicurezza e, stando bene attenti a non lasciare l’anima nelle grinfie del diavolo, godetevi una partenza a manetta sulle note dell’energica “Devils train”.
Un riff metal introduce l’ipnotico “Black Sun Rising”, il pezzo più interessante del lavoro, grazie alla varietà delle sonorità utilizzate che spaziano da quelle del melodic rock a quelle del “Sabba Nero”.
“Rest when you are dead” ci rianima con riff e refrain sbarazzini e ci consegna alla fascinosa “Nowhereland”, una delle tracce meno movimentate dell’album, sebbene abbastanza distante dalla classica ballad.
Con “Hellcome To The Badland” e “Raise Your fist” che, con riff introduttivi abbastanza simili sarebbe stato meglio collocare in non immediata adiacenza, gli Hellsmoke tornano a pigiare sull’accelleratore e continuano a farlo con “Hell Adrenaline” dall’attacco decisamente metal.
La prettamente hard rock “Common Man”, con intro e una parte di assolo blueseggiante, rappresenta una momentanea decellerazione, necessaria per imboccare, sempre al limite della velocità consentita, la corsia che porta ai box.
Rifornito il motore di carburante ad alto numero di ottani, la band torna a portarlo su di giri con “Bad Motorbreath” dal frizzante riff seventies e con un finale in odore di doom.
“Nitro Woman” dal chorus orecchiabile, ma corposo, e dal coinvolgente assolo è la degna conclusione di un album robusto e coerente, con una voce tagliata per il genere, una chitarra solista che non passa inosservata e una sezione ritmica coesa e potente, capace di riprodurre i suoni martellanti della fucina di Efesto.
Dall’uscita di “Hellsmoke”, non dubito che lo stesso dio del fuoco e dei metalli lo metterà su ogni volta che vorrà darsi la giusta carica per affrontare le proprie fatiche.