Recensione: Hemispheres
E’ il settimo album per la prog rock band più famosa del mondo. E’ il 1978 e i Rush sono già un’istituzione nel panorama musicale internazionale, grazie ai successi discografici delle uscite precedenti, “2112” su tutte.
Il precedente studio album, “A Farewell to Kings”, terminava con la potente ed epica “Cygnus X-1: Book I: The Voyage”, viaggio allucinante dell’intrepida Rocinante nel buco nero Cygnus X-1, e lasciava aperti molti interrogativi, dal momento che l’ultimo anelito di rumore del disco era un cuore palpitante in fade out…
Lo straordinario trio canadese presenta come opener di “Hemisphere” una song dal titolo “Cygnus X-1: Book II: Hemispheres”, non proprio il seguito della suddetta, ma piuttosto una storia intrisa di mitologia greca ben legata a quella narrata nel primo libro. Questa prima traccia è assimilabile a un “gioco” di suoni atto ad evidenziare il talento delle tre icone del prog-rock: cambi di tempo a fiumi, magistrali assoli di Alex Lifeson, straripanti sequenze di note da parte del basso di Geddy Lee e percussioni nel tipico Peart-style che continuano ad essere inumane nella loro perfezione. Aggiungiamoci anche i falsetti striduli e aciduli di Mr. Lee e otteniamo un altro capolavoro che amalgama in modo sublime musiche e liriche.
Sebbene questo Book II sia composto di sei capitoli (Prelude, Apollo: Bringer of Wisdom, Dionysus: Bringer of Love, Armageddon: The Battle Of Heart And Mind, Cygnus: Bringer of Balance, and The Sphere: A Kind of Dream) sembra non avere soluzione di continuità, e nasconde particolari facilmente sfuggevoli al primo ascolto. Ancora una volta e’ Neil Peart ad occuparsi della sezione lirica. Geniale.
Dopo quest’overdose straripante di musica, si prosegue con un pezzo divertente, breve, “Circumstance”, altro lampante esempio del genio lirico di Peart. Stavolta l’attenzione e’ incentrata sul concetto di rivelazione, in senso lato, e con la musica di sottofondo sembra davvero aprire gli occhi sulle “cose della vita”.
Arriva quindi una hit della band, “The Trees”, assolutamente fantastica in sede live, ancora oggi in rotazione sulle radio. Si tratta di un pezzo hard-rock strumentale, con delle lyrics gettate nella mischia quasi per scherzo, a giudicare dalle discussioni generate negli anni. Che la battaglia degli alberi per la luce del sole sia un attacco politico al razzismo? In ogni caso un altro centro.
E siamo alla fine. Cosa? Solo quattro tracce? Sì, solo quattro… ma sinceramete ognuna vale la candela, e la ciliegina sulla torta è “La Villa Strangiato – An Exercise in Self-Indulgence”, la prima vera strumentale che i Rush abbiano composto: una raffica di note, arrangiamenti e ritmi che vuol essere semplicemente ciò che esprime il suo titolo, un esercizio di autocompiacimento che mette in mostra le capacità dei Rush. Secondo indiscrezioni, il pezzo è stato dovuto registrare diverse volte, dal momento che il gruppo volle registrarlo in presa diretta… E così fu, visto che sulla versioni originali su CD (non quella rimasterizzata) e vinile si possono sentire i rumori di fondo, piu’ che altro dovuti a disturbi elettrostatici.
In ogni caso, è una track imperdibile, a partire dall’inizio delicato e finire sul finale al fulmicotone: a mio avviso il miglior pezzo rock strumentale di tutti i tempi.
Ancora una volta i Rush dimostrano di sapere come si deve concludere un album, lasciando l’ascoltatore a bocca aperta ad elemosinare qualcosa ancora… E quel qualcosa ancora non è altro che la successiva studio release. Ma questa è un’altra storia.
Tracklist:
1. Cygnus X-1 Book II Hemispheres
2. Circumstances
3. The Trees
4. La Villa Strangiato