Recensione: Hephaestus
Si fa presto a dire che il destino non esiste, che la vita altro non è se non un continuo susseguirsi di coincidenze. Il mondo, caotico e imprevedibile, non può che riservarci infinite sorprese: ‘fai un progetto e fai ridere il diavolo’, suggerisce la saggezza popolare. Eppure, talvolta, il nostro passato sembra smentire queste affermazioni. E’ indubbio, infatti, come le coincidenze che mi hanno portato ad ascoltare e recensire “Hephaestus“, sesta fatica degli Heimdall, siano davvero tante e apparentemente ben orchestrate. Da buon piemontese, cresciuto nel duro territorio delle Langhe, mai avrei pensato di sposare una bella ragazza salernitana. Da quel momento in avanti ho passato tutte le mie estati tra Salerno, Amalfi e il Cilento, godendo delle bellezze artistiche e culinarie di una terra che il mondo ci invidia. Allo stesso modo, fino a 4 anni fa, mai avrei pensato che avrei iniziato a collaborare per TrueMetal.it…e invece eccomi qua, pronto ad occuparmi dell’ultimo disco degli Heimdall, storici protagonisti della scena Power Metal tricolore. Anzi, diciamolo pure con malcelato orgoglio: scena Power salernitana…ed ecco che il cerchio si chiude! Mea culpa, mi avvicino al disco con qualche mese di ritardo: l’album è stato pubblicato ad agosto 2023. Trattandosi di un prodotto meritevole, tuttavia, mi affiderò nuovamente alla saggezza popolare: ‘meglio tardi che mai’! “Hephaestus” arriva sugli scaffali dieci anni dopo il precedente, ottimo “Aeneid“. Rispetto a quest’ultimo, “Hephaestus” registra alcuni significativi cambi di formazione. Il chitarrista Umberto Parisi non fa più parte della line-up, mentre il bassista Daniele Pastore è stato sostituito da Franco Amoroso. Rimangono stabilmente ai loro posti di combattimento Fabio e Nicolas Calluori, rispettivamente chitarrista ritmico e batterista, e il chitarrista solista Carmelo Claps. Alla voce si riconferma il talentuoso Gandolfo Ferro, ‘infiltrato’ siciliano nelle fila del gruppo. La presenza di Ferro garantisce, come fu per “Aeneid“, una prestazione al microfono a dir poco eccellente. Non che i precedenti cantanti, il primo Claudio Gallo e soprattutto il successivo Giacomo Mercaldo, fossero inadeguati, si badi bene. La versatile ed espressiva ugola di Ferro, però, rappresenta il classico ‘elemento che mancava’ nell’economia di un gruppo che si è quasi sempre espresso ad alti livelli, sin dai tempi dello storico disco di esordio: lo squisito “Lord of the Sky” del 1998.
La caratteristica principale di “Hephaestus” è senza dubbio la sua relativa accessibilità. Con ciò non sostengo affatto che le composizioni siano lineari, monotone o chissà che altro: ho sempre pensato però che una certa dose di immediatezza sia un toccasana per molti sottogeneri del Metal. L’appropriazione delle linee melodiche da parte degli ascoltatori è uno degli ‘effetti collaterali’ più importanti per ottenere l’apprezzamento dei fan. La facilità con cui un ritornello o un riff riescono a ‘ficcarsi in testa’ agli appassionati è la molla che li spinge a riprodurre più volte una canzone, o un intero disco, rendendo il riascolto una delle esperienze più belle e appaganti che si possano provare. “Hephaestus“, da questo punto di vista, è imbattibile. Sfido chiunque, dopo i primi due o tre ascolti, a non mettersi a fischiettare, o ancor meglio ad urlare a squarciagola, i ritornelli di tracce come “King”, “The Runes” e la maestosa “Masquerade”. A tutt’oggi la mia canzone preferita di “Hephaestus“, “Masquerade” viene introdotta da un dialogo iniziale tra chitarra e batteria che consiglio di non ascoltare mai in automobile in presenza di un autovelox: ricevere una multa per eccesso di velocità sarà pressoché inevitabile. Il forte impatto delle canzoni viene inoltre rafforzato da un minutaggio piuttosto contenuto, peculiarità non sempre rintracciabile in altre opere Power Metal. Ascoltare tutti i brani di “Hephaestus” richiede 40 minuti, il che rende la fruizione del disco nella sua interezza un’operazione piuttosto veloce. In quest’epoca frenetica, in cui abbiamo sempre più faccende da sbrigare e sempre meno tempo per occuparcene, poter ascoltare un disco dall’inizio alla fine in poco più di mezz’ora è un vero e proprio lusso. Anche i nove brani che compongono la tracklist confermano questa tendenza alla concisione…per quanto possa essere ‘conciso’ un disco appartenente al genere in esame, ovviamente. Uno dei pochi brani vicini allo sforamento della barriera dei cinque minuti di durata è “Till the End of Time”, il classico e immancabile ‘lento’ del lotto. Ho rinchiuso la parola ‘lento’ tra virgolette con cognizione di causa: più che ad una ballad vera e propria, infatti, ci troviamo di fronte ad un brano magniloquente che non sfigurerebbe in un blockbuster cinematografico. Personalmente vedrei benissimo “Till the End of Time” nella colonna sonora di un film come Terminator 2! Possibile che un disco Power Metal, genere spesso intriso di testi e tematiche tipicamente Fantasy, possa richiamare alla memoria certi capolavori della Fantascienza, di solito ambientati in epoche moderne e/o avveniristiche? Per ottenere una risposta affermativa a quest’interrogativo potete citofonare ai Gamma Ray e agli Iron Savior…oppure considerare l’efficacia e la contemporaneità della produzione musicale di “Hephaestus“, aspetto di cui si è occupato il chitarrista Fabio Calluori. Non saprei come definire altrimenti i cristallini suoni del disco, che a volte risultano addirittura ‘futuristici’: si veda, tanto per fare un esempio, il sottofondo di tastiere nella succitata “The Runes”. La produzione musicale moderna e quasi ‘hollywoodiana’ di “Hephaestus” è il valore aggiunto di un disco che non ha nulla da invidiare a ben più blasonate proposte estere, esageratamente ‘strombazzate’ ma tante volte prive di uno spessore artistico anche solo lontanamente paragonabile all’ultimo lavoro degli Heimdall.
“Hephaestus” non è però un concept album: i pezzi sono slegati tra loro e la copertina del disco è un diretto riferimento all’omonima, solenne prima traccia del disco. Il dio Efesto, la cui fisicità è stata interpretata in modo diverso rispetto a quanto ci tramanda la tradizione classica, viene probabilmente scelto come ‘rappresentante principale’ di tutto l’album per due motivi. In primis, Efesto ha affrontato numerose difficoltà nei vari miti che lo vedono protagonista. Le alterne fortune che caratterizzano la sua storia in qualche modo riflettono la carriera degli stessi Heimdall, che nonostante tutti gli imprevisti hanno sempre saputo reinventarsi per arrivare a diffondere un’opera valida come “Hephaestus“. In secundis, l’imponenza e il senso di autorità emanate dall’illustrazione di copertina, realizzata da Vittorio Citro, concorrono a rendere estremamente evocativa e ‘incandescente’ la cornice iconografica in cui è racchiuso il disco. D’altronde, Efesto era il dio del fuoco, delle fucine e della metallurgia…volendo parlare ‘in soldoni’, insomma, la copertina dell’album trasuda metallo da ogni sua fibra, anticipando perfettamente ciò che gli ascoltatori assaporeranno dopo la prima pressione del tasto play. Ciò che non ci si aspetta, dopo gli epici ritornelli di “Power”, i cori di “We Are One” e le accelerazioni elettrizzanti di “Masquerade” e “Spellcaster”, è l’ultimo brano dell’album. Si tratta della cover di una delle più belle canzoni di tutta la storia del Rock: “The Show Must Go On” dei Queen. Il brano, a sua volta posto in chiusura del mitico “Innuendo” del 1991, è oggettivamente inarrivabile per tutta una serie di motivi; gli Heimdall, bontà loro, riescono a portare a casa il risultato proponendo una versione della canzone leggermente ‘metallizzata’ e rispettosa nei confronti dell’originale. Citerò le parole di mia moglie dopo il primo ascolto di questa cover: ‘certo che gli viene bene, sono bravi e il cantante ha una bellissima voce’. Che dire di più? La scelta del brano, inoltre, appare molto significativa, tanto che si potrebbe pensare ad una vera e propria dichiarazione d’intenti: attenzione, fan di oggi e di ieri, la gloriosa saga del Power Metal italiano è tuttora in corso! Gli Heimdall sono tornati, più potenti e in forma che mai, e sono pronti a ‘continuare lo spettacolo’ con i brani di “Hephaestus” suonati dal vivo. Non vedo l’ora di potermi unire ai cori di un pubblico festoso mentre la band salernitana esegue “We Are One” dall’alto di un palcoscenico; in attesa che questo si verifichi, come sempre, auguro buon ascolto a tutti. A presto!
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