Recensione: Here Be Dragons
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Hic sunt dracones. I draghi sono tornati! Decimo album per la metal opera di Tobias Sammet, “Here Be Dragons” è il primo lavoro ad uscire sotto l’egida dell’etichetta austriaca Napalm Records. Al cambio di label non corrispondo altre novità significative nella formula proposta dal supergruppo rispetto a quanto già visto nei dischi precedenti, a partire dagli autori principali: l’intero disco è scritto, arrangiato, orchestrato e prodotto dall’allegro trio tutto teutonico composto da Tobias Sammet (mastermind, autore e gran cerimoniere), Sasha Paeth (chitarrista, arrangiatore e autore del mixing) e Miro Rodemberg (tastierista, compositore orchestrale e autore del mastering), come di consueto ormai da ameno un ventennio.
Con “Here Be Dragons” la band abbandona la forma del concept album in favore di dieci tracce libere, in cui ogni guest si limita a cantare le sue linee vocali per poi lasciare la scena, mutando così la metal opera in una manciata di brani indipendenti, senza un continuum narrativo. Si alternano così vecchie glorie come Michael Kiske (Helloween), Ronnie Atkins (Pretty Maids) e Bob Catley (Magnum), nuovi compagni di viaggio come Geoff Tate (ex-Queensrÿche), Tommy Karevik (Kamelot), Kenny Leckremo (H.E.A.T.) e Roy Khan (ex-Kamelot), oltre a valorizzare la voce dell’unica guest femminile Adrienne Cowan (Seven Spires), da tempo assieme agli Avantasia come corista e lead singer in sede live.
Il risultato è un lavoro ottimamente prodotto, che saprà polarizzare come di consueto fan e detrattori degli Avantasia post-Metal Opera pt. I e II (o post-Scarecrow, secondo taluni). Dieci brani a nostro avviso ben composti, efficaci e ficcanti, che dopo ripetuti ascolti sanno stuzzicare gli appetiti dei die-hard fan del progetto e dei singoli interpreti. Canzoni generalmente molto immediate, con i coretti ormai marchio di fabbrica della band come la ruffiana “Creepshow” che fa da opener, singolo che sembra sottratto dalla cartuccera degli Edguy.
Si smarca solo il secondo brano, eponimo, “Here Be Dragons”, una suite che con la sua struttura complessa richiede diversi ascolti per essere ben assimilata, lasciando apprezzare il talento del buon vecchio Tate, con un paio di chorus che si alternano ad atmosfere cangianti.
“The Moorlands at Twilight” è un brano di stampo helloweeniano con la doppia cassa e le chitarre armonizzate nel bridge, con il ritorno del solito, apprezzatissimo Michael Kiske, che alterna strofa e ritornello con Tobi, mostrando il solito indiscusso talento. Altro bel brano è “The Witch”, con il mai troppo apprezzato Tommy Karevik a fare il “bello dannato” della situazione, per un brano cupo e oscuro scelto come singolo, forse il più azzeccato tra quelli estratti.
“Phantasmagoria” ha un attacco che vorrebbe essere “Another Angel Down”, ma al posto del vichingo Jørn Lande (che, ammettiamolo, un po’ ci manca) compare sulla scena la voce più graffiante di un energico Ronnie Atkins. Non ci nega la sua presenza il veterano Bob Catley: dall’alto dei suoi settantasette anni il cantante britannico continua a impartire lezioni, profondo ed intenso come pochi. Come anticipato dalla band sui social, il brano è un tributo al chitarrista dei Tony Clarkin (Magnum), scomparso il 7 gennaio 2024.
In “Unleash the Kraken” Tobias prende le redini per un brano heavy-power ricco di elementi, dal riffing serrato ai cori, efficace quanto un po’ prevedibile. Viene il turno di Adrienne Cowan tra le migliori interpreti degli ultimi anni, nel brano più epico del lotto: “Avalon”, che sembra tratto dai brani più arrembanti dei Seven Spires. L’impressione è che si potesse fare ancora di più, con le doti straordinarie della statunitense laureata al Berklee College, basti ascoltare l’ultimo, ottimo lavoro della band di Boston “A Fortress Called Home” (2024), o per restare in Italia riscoprire il suo contributo nel progetto Light & Shade di Marco Pastorino.
Altro singolo estratto di “Here Be Dragons”, “Against the Wind” è impreziosito dalla presenza di Kenny Leckremo, brano tirato e molto catchy con un ritornello che ti si stampa subito in testa. Non male, ma nemmeno memorabile. Chiude il disco la nostalgica power-ballad “Everybody’s Here Until The End”, con una buona prova di Roy Khan. Il pezzo forse sarebbe stato più valorizzato in tracklist a metà del lavoro, tanto che in decima posizione finisce per spezzare il ritmo con una conclusione imprevista, un po’ mesta, senza esplosioni e fuochi d’artificio.
Venendo ai punti deboli del platter, si inizia ad avvertire (da tempo, ormai) una certa stanchezza di Tobi nel songwriting, qui come mai ricco di autocitazioni e cliché, sempre debitore di un certo hard rock e power scanzonato di ottantiana memoria, così come una difficoltà dello stesso Tobias nel cantare le linee vocali più alte, con il falsetto che si fa spesso strozzato e ai limiti delle capacità dell’ormai quarantasettenne dominus del progetto. Altro elemento sul quale riflettere è l’utilizzo degli ospiti, talvolta ridotto veramente al minimo considerato anche lo scarso minutaggio, quasi come se l’ego del principale autore dei pezzi non sopportasse l’idea di lasciare un po’ più di spazio ai suoi compagni d’avventure, peraltro tutti protagonisti di una prova eccellente.
“Here Be Dragons” finisce pertanto per essere un avvertimento, un monito prima di varcare la soglia, come illustrato nel solito straordinario artwork dell’artista britannico Rodney Matthews. Gli Avantasia di Tobias Sammet sono tornati, offrendo un altro giro su una giostra che abbiamo già vissuto migliaia di volte, rassicuranti e appaganti come una cena in famiglia dopo tre anni di attesa per tutti i fan della band (tanti, a giudicare dal successo nei lunghi e spettacolari live show del supergruppo), un piatto indigesto per tutti gli altri: un lavoro paragonabile al precedente, forse leggermente migliore, ma ben lontano dai fasti dei tempi in cui la metal opera irruppe sul mercato discografico. A tal proposito, un ascolto all’autoironica “Return to the Opera” nel b-side del disco è d’obbligo!
Luca “Montsteen” Montini