Recensione: Here Be Monsters
Un quarto di secolo di storia, iniziata nel 1995 grazie al connubio vittorioso tra la voce di Gary Hughes e la chitarra di Vinny Burns, quest’ultimo proveniente da quel gioiello prezioso che furono (e, per fortuna, ancora sono) i Dare.
Una storia fatta di grandi melodie, arrangiamenti eleganti, atmosfere sempre sul limitare della malinconia, ma così tanto coinvolgenti. 14 dischi, tra cui gemme come il trittico fenomenale formato da The Name of the Rose, The Robe e Speelbound; ma i Ten non hanno mai tradito i propri esitmatori, mantenendo sempre alta l’asticella della qualità dei propri prodotti.
Non fa eccezione questo nuovo Here Be Monsters, magistralmente prodotto da Hughes stesso e un certo Dennis Ward, che lavora a fianco della band inglese dai tempi di Stormwarning (2011). La band, piuttosto stabilizzatasi nella formazione al netto del turnista Markus Kullman alla batteria, regala momenti di grande eleganza compositiva, a sostegno di una scrittura che, pur non discostandosi minimamente dalle usuali coordinate della band, riesce a risultare sempre fresca e affascinante. Insomma, non ci si stanca mai di avere tra le mani un nuovo disco dei Ten.
L’apertura di Here Be Monsters è affidata a una coppia di pezzi che più tipicamente Ten non potrebbero essere: Fearless e Chapter And Psalm assommano la carriera della band di Gary Hughes, incidendo nella testa dell’ascoltatore ritornelli cristallini e accarezzandone il gusto con assoli di gran gusto.
Hurricane è un mid tempo melanconico che è melodic rock al proprio meglio, impreziosito da quella patina vagamente celtica che è la vera eredità lasciata alla band da Vinny Burns.
Se Strangers On A Distant Shore è soltanto un buon pezzo che, tuttavia, non incide più di tanto per via di un freno a mano un po’ troppo tirato, The Dream That Fell To Earth ci risveglia grazie a un bel tiro e a un arrangiamento vario ed estremamente dinamico. Ma è con The Miracle of Life che i Ten incidono quello che è il vero valore aggiunto di Here Be Monsters: un andamento “da cavalcata” sorregge una gran melodia che scaturisce in un ritornello semplice e, al contempo, originale, in virtù di arrangiamenti azzeccatissi che lo sanno valorizzare al massimo e, in ultima istanza, lo fanno rendere al meglio. E che splendidi assolo!
Immaculate Friends è quasi pomp rock con influenze dei grandi FM: il pezzo è in vero radiofonico e, cosa non frequente per i Ten, piuttosto scanzonato. Ma i Ten paiono averci preso gusto, perché anche Anything You Want gioca su atmosfere leggere, benché sotto pelle sempre scorra quello spleen che è proprio della band britannica.
Follow Me Into The Fire ci restituisce i Ten più simili a sé stessi: una buona canzone tirata che, tuttavia, non raggiunge grandi vette compositive.
Infine, The Longest Time è una buona ballatona che richiama un po’ Heaven di Brian Adams, con un tocco pomposo in più.
In definitiva, Here Be Monsters è l’ennesimo bel disco dei Ten, che ci mettono in mano esattamente quanto ci aspetteremmo da loro, con quella personalità compositiva che va riconosciuta alla band di Gary Hughes. Chi tra voi li ha sempre amati non avrà bisogno delle mie parole per convincersi a passare dei bei momenti con Here Be Monsters; a tutti gli altri consiglio senza esitazione di ascoltare il disco e magari andare a scoprire le meraviglie passate composte dalla band.